Esattamente cent’anni fa due endocrinologi canadesi, Banting e Best, isolavano l’insulina; già un anno dopo la utilizzavano con successo nella cura di un loro paziente 14enne altrimenti destinato a morte sicura, dopo alcune sperimentazioni su animali nel laboratorio messo loro a disposizione da Mcleod. Insieme Banting e Mcleod nel 1923 ricevettero il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina. Da quel momento il diabete entrò nel campo delle malattie croniche contenibili con terapie accessibili ai pazienti – si parla ovviamente di quelli del Primo mondo.
La Giornata Mondiale del Diabete si celebra dal 1992, il 14 novembre, giorno di nascita di Banting. L’iniziativa fu assunta dalla Federazione Internazionale del Diabete (IDF) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Lo scopo: allertare il mondo circa l’aumento vertiginoso dei casi, fino a descrivere (già allora) la situazione con il termine di “pandemia del diabete”. L’allarme crescente per la diffusione quasi esponenziale (che non accenna a fermarsi) ha poi spinto anche l’Onu a fare sua la Giornata Mondiale del Diabete con la risoluzione 61/225 del 2007, in cui scrive che è “una malattia cronica, invalidante e costosa che comporta gravi complicanze”. L’Onu e l’Oms la considerano una delle tre emergenze sanitarie del pianeta, insieme con la tubercolosi e la malaria. Nel 2019, infatti – secondo le stime IDF – gli adulti affetti da diabete erano 463 milioni, nel 2045 saranno 700 milioni. I due terzi delle persone con diabete vivono in aree urbane e tre su quattro sono in età lavorativa. Sempre nel 2019 oltre 4 milioni di persone sono morte per il diabete.
“[…] il diabete tipo 2 è malattia trasmissibile perché trasmissibili sono i geni che predispongono alla malattia e trasmissibile è lo stile di vita malsano che ha infettato la società moderna. Quest’ultimo è una sorta di virus che sta diffondendosi lentamente e silenziosamente, come sta dilagando il diabete. L’unico vaccino su cui possiamo fare affidamento è la maggiore conoscenza della malattia. Conoscendola, i non diabetici potrebbero riuscire ad evitarla. Conoscendola meglio, le persone con diabete potrebbero gestirla meglio”, scrive Enzo Bonora della Società Italiana di Diabetologia, invitando tutti i medici a dare il massimo rilievo alle iniziative di sensibilizzazione che in tutto il mondo portano alla luce l’allarme per questa pandemia: #FaiLuceSulDiabete. A Torino, per esempio, si muove anche la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, che dedica il 14 novembre al diabete e allo stigma che ancora avvolge la malattia.
Già, perché nonostante il diabete sia diffuso e conosciuto, molta è ancora ignoranza su una malattia che si manifesta quando l’organismo produce in quantità insufficiente l’insulina, un ormone secreto dal pancreas e necessario al metabolismo dei carboidrati. Nel sangue si determinano alti livelli di glucosio dannosi per molti organi del corpo, invalidanti e alla lunga mortali. Esistono diversi tipi di diabete, ma quello di gran lunga più diffuso è il diabete mellito di tipo 2 DMT2 (il 95% circa dei casi) che si riscontra negli adulti e nella popolazione anziana. Dipende anche e soprattutto dallo stile di vita del singolo ed è sovente associato a obesità, malnutrizione e, più, in generale, a uno stile di vita sedentario, poco attento alla salute e alla dieta. Di qui lo stigma sociale: alle sue scelte sbagliate del malato si riconduce la causa dei suoi mali, che tanto costano alla collettività in termini di cure e di inabilità. Il DMT2, invece, è proprio la malattia sociale per eccellenza, il prodotto di una società disarticolata, fintamente opulenta e pigra le cui vittime sono proprio i più fragili, i più indifesi davanti allo stimolo continuo a consumare. Stiamo parlando di quasi 3,4-4 milioni di italiani, adulti e anziani, che soffrono di diabete di tipo 2, una persona ogni sei nella fascia oltre i 65 anni: 1,5 milioni di persone ha il diabete, ma ancora non è stato diagnosticato. A loro si aggiungono altri 4 milioni di persone che si trovano nell’anticamera della malattia, visto che dopo il pasto la loro glicemia è fuori controllo, testimoniando così la predisposizione.
L’altro tipo di diabete mellito, quello di Tipo 1, il DMT1, non ha nulla a che fare con lo stile di vita e l’alimentazione. Si tratta di una malattia autoimmune che si registra nei bambini e negli adolescenti e che colpisce le cellule del pancreas che producono insulina. In Italia sono circa 16mila i minori che soffrono di questa patologia, oltre un milione i casi curati nel mondo. Molti di più quelli che sfuggono ai radar della sanità, specie nei paesi poveri, e che conducono alla morte prematura. Importanti le iniziative di sensibilizzazione di famiglie ed educatori: l’osservazione dei ragazzi è fondamentale per evitare che la patologia degeneri prima di essere riconosciuta e affrontata. Dunque: “Se beve tanto e fa molta pipì, pensiamo al diabete”.
Che la “pandemia diabetica” costituisca un elemento di preoccupazione forte lo testimonia anche il costante studio e monitoraggio statistico che ha generato l’Italian Diabetes & Obesity Barometer Report 2021, una miniera di dati e uno spaccato di grande attualità, specie in tempi di pandemia Covid, fonte di larga parte dei dati di questo post.
Per fortuna, almeno nei paesi ricchi, il sistema sanitario si avvale, oltre che di medici e operatori appassionati, anche di strumenti e conoscenze che servono a curare meglio, a prevenire gli effetti invalidanti della malattia, a rasserenare i pazienti e a spiegare come la tecnologia stia cambiando la vita di chi ne è affetto, come questo video del dott. Tinti, pediatra diabetologo torinese, diventato quasi virale fra le famiglie dei giovani malati.