Nel 1957 il Tamigi, il fiume che bagna Londra, fu dichiarato “biologicamente morto”: l’inquinamento aveva causato l’estinzione di tutte le forme di vita animale. Se gli impatti umani che alterano il fiume sono eliminati, però, l’acqua che viene dalla sorgente porta al mare la sporcizia e, se non ne arriva altra da terra, il fiume torna pulito. Ripulita l’acqua, si spera che torni la vita. Il Tamigi ha un grande estuario, le maree lo risalgono per un notevole tratto e, con esse, arrivano le specie adattate a variazioni di salinità, ricolonizzando il fiume. Gli estuari sono tra gli ambienti acquatici più produttivi del pianeta, se non li alteriamo con le nostre attività: liberato dall’inquinamento, il Tamigi riprende vita.

La Società Zoologica di Londra, studiando il ripopolamento della porzione del Tamigi influenzata dalle maree, ha registrato la presenza di specie che indicano un “miracolo”: risorge la vita nel fiume e le reti alimentari riacquistano complessità. La presenza di predatori, in particolare, indica che la base dell’ecosistema è sana, e nutre i vertici. La presenza di tre specie di squali è la notizia più eclatante che conferma la bontà delle iniziative di risanamento. Nell’estuario del Tamigi gli zoologi londinesi hanno trovato esemplari di canesca (Galeorhinus galeus), palombo stellato (Mustelus asterias) e spinarolo (Squalus acanthias). La canesca, in particolare, è una specie a rischio di estinzione commerciale: le popolazioni sono talmente esigue che la specie non rappresenta più una risorsa sfruttabile in modo sostenibile: lo sforzo di pesca per catturare esemplari supera il ricavato della vendita del pescato e la popolazione non riesce a riprendersi. Le altre due specie sono meno minacciate. Si tratta di piccoli squali, ma la loro presenza è altamente indicativa e dimostra che la rete alimentare è sufficientemente complessa da garantire la loro presenza. La natura, alleggerita dalle nostre pressioni, si riprende rapidamente. Lo abbiamo visto anche durante la pandemia, quando molte attività sono state sospese. Lo vediamo anche nelle Aree Marine Protette dei nostri mari: la vita ritorna se smettiamo di martoriarla con attività scellerate. La natura si riprende i suoi spazi e riesce rapidamente a riorganizzarsi.

Noi non possiamo “gestire” la natura, ma possiamo gestire le attività che la alterano. La gestione richiede leggi che modifichino il nostro rapporto con il resto della natura. La Legge Salvamare, da poco approvata in Senato, è un importante capitolo della conversione ecologica che, finalmente, prende atto della necessità di un cambio di rotta. Le intenzioni della legge, come suggerisce il suo nome, sono che si salvino i nostri mari. Ora la legge deve passare alla Camera. Finalmente l’Italia si dota di strumenti legali che potrebbero portare al miracolo a cui stiamo assistendo nel Tamigi. E questa volta non si salva solo un fiume: si salvano i nostri mari.

C’è già qualcuno, però, che parla di “migliorare” la legge, modificandola. Il che allungherebbe di molto l’iter di approvazione e la legge si potrebbe arenare nei meandri delle procedure, visto che le modifiche alla Camera la farebbero ritornare al Senato, dove il gioco al “miglioramento” potrebbe continuare. Si tratta di una pratica dilazionatoria che ricorda quella degli avvocati che non mirano all’assoluzione dei loro clienti ma alla prescrizione dei reati di cui sono accusati. Si tira in lungo, cavillo dopo cavillo, per far decadere il processo oppure, come in questo caso, la legge. Non metto in dubbio che chi propone modifiche abbia le migliori intenzioni, ma il meglio è spesso nemico del bene.

La transizione ecologica non può avvenire senza opportune legislazioni che mettano dei “paletti” alle azioni che compromettono l’integrità della biodiversità e degli ecosistemi. Ma le misure non bastano. Bisogna valutarne l’efficacia. Se il Regno Unito avesse approvato magnifiche leggi, ma il Tamigi fosse rimasto “biologicamente morto”, queste leggi avrebbero rivestito un ruolo squisitamente formale, mentre la sostanza non sarebbe cambiata. Sarà lo stato della biodiversità e degli ecosistemi, a seguito delle iniziative intraprese, a testimoniarne l’efficacia. Se lo stato della natura migliora, le leggi sono efficaci. Il Tamigi è rinato e lo testimonia il ritorno degli squali. La transizione ecologica, attraverso la Legge Salvamare, avrà successo se la biodiversità e gli ecosistemi rinasceranno. Questo richiede che lo stato della natura sia tenuto sotto costante controllo, per comprendere se le misure proposte hanno gli effetti desiderati.

Il Pnrr si prefigge di realizzare la transizione ecologica e c’è un solo modo per capirne l’efficacia: monitorare lo stato della natura in termini di biodiversità ed ecosistemi. Se lo stato migliora, le misure sono efficaci, se non migliora le misure non sono efficaci. Come ripeto in modo ossessivo, accanto ai giuristi, agli economisti e ai tecnologi, devono lavorare gli esperti della natura. Saranno loro i giudici dell’efficacia delle proposte di transizione.

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