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Gli Emirati Arabi si rifanno il trucco per “attrarre talenti mondiali”: ok a tribunali e matrimoni civili. Ma partiti e sindacati restano illegali

Il Paese va verso una modernizzazione visibile, nell'ambito di una più ampia operazione di "lifting" soprattutto ad uso e consumo di stranieri ed occidentali per garantire ad Abu Dhabi un ruolo di hub commerciale mondiale. E allora via libera ai divorzi, alla gestione dell'eredità e della custodia dei figli, in un'opera di rinnovamento che serve a rafforzare il potere centrale

I residenti non musulmani di Abu Dhabi, uno dei sette Emirati Arabi Uniti, molto presto potranno sposarsi, divorziare e gestire in autonomia – e al di fuori dei tribunali islamici – l’eredità e la custodia della prole, secondo norme di diritto civile regolate da tribunali appositi, separati da quelli islamici, dove i casi saranno discussi in lingua inglese, oltre che in arabo. Sono le importanti novità annunciate in un nuovo decreto reale – il cui contenuto è stato diffuso dall’agenzia Wam – emesso domenica scorsa nel ricco emirato del Golfo Persico, uno di quelli che sta viaggiando più spedito verso una modernizzazione visibile, nell’ambito di una più ampia operazione di “lifting” soprattutto ad uso e consumo di stranieri ed occidentali, la cui frequentazione di Abu Dhabi è fondamentale per il mantenimento da parte di quest’ultima del ruolo di hub commerciale mondiale.

Lo si capisce in particolare dal passaggio che recita che “l’obiettivo del decreto è quello di migliorare la posizione e la competitività globale dell’emirato, per renderlo una della più attraenti destinazioni per il talento nel mondo”. Circa l’89% della popolazione è composta da stranieri, spesso non musulmani, e fino ad oggi gran parte delle leggi sullo statuto personale sono basate sulla Shari’a e su una serie di principi islamici. Le nuove leggi seguono quelle sui visti di residenza a lungo termine per gli stranieri, che dallo scorso gennaio possono anche accedere più facilmente al percorso per ottenere la cittadinanza, fino ad oggi quasi impossibile da ricevere.

Secondo il nuovo decreto dell’emiro Khalifa bin Zayed Al Nayhan, che peraltro è a capo anche della federazione che raggruppa i sette emirati, le nuove norme – circa una ventina – permetteranno ai genitori stranieri residenti a Dubai di spartirsi la custodia dei figli – normalmente, nel diritto islamico, questa va al padre – e introduce anche il concetto di matrimonio civile, oltre a stabilire la possibilità di scrivere testamenti in cui si assegni la propria eredità a chiunque, all’interno e all’esterno del proprio nucleo familiare. Come riporta il quotidiano The National, che cita il Dipartimento di Giustizia di Abu Dhabi, la legge, che sarebbe in linea con gli standard internazionali, mira a “stabilire un meccanismo avanzato per la determinazione dello statuto personale dei non musulmani e le dispute ad esso legato”.

Già lo scorso anno gli Emirati Arabi Uniti avevano introdotto una serie di cambiamenti legali a livello federale, inclusa la depenalizzazione dei rapporti sessuali prematrimoniali e del consumo di alcol, vietati dall’ortodossia, oltre alla rimozione di ogni meccanismo di “clemenza” e di qualunque attenuante nei casi di omicidi d’onore, nei quali spesso il padre o il fratello della vittima riuscivano ad evitare il carcere. Fino a settembre 2020, una persona negli Emirati aveva bisogno di una licenza per comprare una bottiglia di liquore, per trasportarla e per detenerla a casa. Prossimamente, sempre secondo il decreto, potrà essere libero di acquistare alcol anche un residente musulmano. Tuttavia la linea tra tolleranza, allargamento delle libertà e stato di polizia rimane abbastanza sottile, se è vero che operazioni sostanziali, ma con un valore esteriore come questa, sono funzionali anche al rafforzamento del potere centrale e alla necessità di non metterlo in discussione. In tutti e sette gli emirati rimangono illegali sia i partiti politici che i sindacati.