Recente è la notizia che Lufthansa ha restituito in anticipo allo Stato tedesco gli aiuti ottenuti nel 2020 per evitare il crack in seguito all’epidemia di Coronavirus. Il prestito sarebbe stato restituito in anticipo rispetto agli impegni presi.
Lo scorso anno Lufthansa aveva ricevuto la disponibilità di nove miliardi di euro per salvare la compagnia dal fallimento, ma il vettore ha chiesto solo 3,8 miliardi di euro. Ciò dovrebbe far riflettere il governo su come sia possibile gestire efficacemente il trasporto aereo nel nostro Paese, su quali errori stiamo ancora commettendo con l’attuale statalizzazione di Ita e con la problematica gestione di migliaia di lavoratori messi in cassa integrazione ancora per anni senza alcuna condizionalità e con un assegno mensile di lusso.
Lufthansa ha effettuato un aumento di capitale di 2,2 miliardi alla fine del 2020 e ha ottenuto 1,5 miliardi di euro sui mercati. E’ bene chiarire che lo Stato tedesco detiene solo il 14% delle azioni e ora prevede di cedere la sua quota definitivamente.
Il prestito tedesco non ha fatto la fine dei prestiti, mai restituiti, concessi ad Alitalia. La nascita di Ita è un nuovo tassello errato e irresponsabile dello Stato italiano che continua nella sua perversa non volontà di non “prendere il toro per le corna”. La gestione del consenso delle migliaia di addetti, dei fornitori garantiti di beni e servizi e il consociativismo sindacale non sono per nulla alle spalle della nuova Ita. Prestiti, finanziamenti pubblici, future spese dell’amministrazione straordinaria, rimborso dei biglietti venduti quando già si sapeva che l’Alitalia non sarebbe più esistita non basteranno per far nascere una compagnia efficiente che, è bene ricordarlo, in questo periodo vola con coefficienti riempimento del 60%. A Natale sarà ancora peggio.
Il fondo di 1,35 miliardi di euro, anche se non si configura come aiuto di Stato ai sensi delle norme Ue, non basterà ad assicurare il suo sviluppo duraturo. Oltre a dover competere con aggressive compagnie low cost, Ita si trova ad operare su un mercato domestico dove Alitalia ne rappresentava solo il sette per cento. Con i 4,5 miliardi spesi negli ultimi anni per tenere in vita Alitalia, lo Stato avrebbe potuto acquistare le maggiori ed efficienti compagnie tradizionali europee, oppure, a pochi euro, l’Air Italy, e farne l’involucro del rilancio della nuova compagnia italiana.
Si sarebbe salvata una compagnia ancora attiva, con tutte le sue certificazioni, con la produttività maggiore di Alitalia, con un redditizio network intercontinentale e un buon numero di slot strategici. La crisi di Air Italy è dovuta alle malversazioni dei suoi manager su input degli azionisti arabi venuti per spolpare la compagnia, non certo alla sua inefficienza data la professionalità degli addetti ex Meridiana.
Il prossimo ostacolo di Ita, che rischia di impedirne il decollo, è quello delle migliaia di cause fatte al giudice del lavoro dai lavoratori ex Alitalia, restati in cassa integrazione, che vogliono però essere reintegrati in azienda. Essi sostengono che Ita è ancora Alitalia e che si è trattato di una cessione di ramo d’azienda e non di discontinuità aziendale come chiesto dalla Ue. Il capitolo ex Alitalia non è quindi chiuso, altre risorse dei contribuenti verranno spese inutilmente. Forse la soluzione sta ancora in una virata su Air Italy. Con questo nome, almeno, i “patrioti” sarebbero contenti e la lezione di Lufthansa ci avrebbe insegnato qualcosa.