Seicentomila bambini e adolescenti in meno in 15 anni, tanto che oggi meno di un cittadino su sei non ha ancora compiuto 18 anni. Nel frattempo è dilagata la povertà assoluta, con un milione di minori in più senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente. E sui giovani si investe sempre meno: tra il 2010 e il 2016 in Italia la spesa per l’istruzione è stata tagliata di mezzo punto di pil e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada a una crisi educativa senza precedenti. La fotografia scattata nella XII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, dal titolo “Il futuro è già qui”, diffuso a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza da Save the Children, racconta un paese in cui la percentuale di Early School Leavers, cioè ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione, raggiunge il 13,1% (a fronte della media europea del 9,9%) e quella di NEET, giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione, è arrivata al 23,3% contro una media europea del 13,7%. Anche l‘ambiente in cui vivono è piuttosto compromesso: più di un minore su cinque in Italia (il 21,3% del totale) abita in città inquinate, in un paese dove vi sono oltre quattro auto in circolazione per ognuno di loro.

La cittadinanza scientifica – Eppure ragazze e ragazzi sono sempre più interessati ad essere protagonisti della vita politica e delle decisioni che li riguardano e la pandemia ha accentuato questa necessità. Secondo i dati dell’indagine commissionata a Ipsos su ‘I giovani e la cittadinanza scientifica’, pubblicata all’interno dell’Atlante di Save the Children, circa un adolescente su tre pensa che invecchiamento della popolazione, energia sostenibile, diminuzione delle emissioni inquinanti e diseguaglianze socio economiche siano i principali temi che la scienza dovrà affrontare tra dieci anni. Nonostante credano nella scienza, nella maggior parte dei casi non ricevono il supporto necessario per farne un indirizzo di studi: il 15% non crede di proseguire gli studi al termine delle scuole superiori e non frequenterà l’università e il 33% di quanti, invece, si iscriveranno a un ateneo, certamente non opterà per un indirizzo scientifico. E qui il divario di genere è significativo già dalle intenzioni: il 41% delle ragazze esclude a priori un indirizzo scientifico, mentre solo il 26% dei ragazzi la pensa allo stesso modo. E sono solo 8 ragazze su 100 a puntare per esempio su una facoltà di ingegneria, rispetto a 30 ragazzi su 100. Oggi, secondo le ragazze e i ragazzi intervistati, i temi da affrontare per la scienza sono la pandemia (54%), la lotta al cancro (38%), lo smaltimento dei rifiuti (32%), la produzione di energia sostenibile (31%) e la fame nel mondo (29%). Ma nei prossimi dieci anni, ragazze e ragazzi indicano priorità differenti immaginando che tra i problemi più urgenti vi saranno l’invecchiamento della popolazione (33%), la produzione di energia sostenibile (32%), le diseguaglianze economiche (27%).

Disuguaglianze e povertà educativa – “In Italia abbiamo un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di NEET più alta d’Europa, con un esercito di giovani che non studia, non cerca lavoro e non si forma”, spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia. La povertà assoluta, sottolinea l’organizzazione, ha visto una crescita continua negli ultimi 15 anni ed ha registrato una lieve frenata solo nel 2019, con l’entrata in vigore del reddito di cittadinanza. Poi, nel 2020, con l’arrivo della crisi innescata dalla pandemia, la corsa della povertà assoluta è ripresa, e su una platea di tre milioni di individui beneficiari del reddito di cittadinanza, 753mila sono minorenni. Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano sin dalla primissima infanzia. In Italia solo un bambino su sette (14,7%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni. Il dato molto basso cela enormi differenze nell’offerta territoriale, causa ed effetto di grandi diseguaglianze: in Calabria solo il 3,1% dei bambini ha accesso al nido, opportunità offerta invece al 30,4% dei bambini che nascono nella provincia di Trento. La spesa media pro capite (per ogni bambina o bambino sotto i tre anni) dei Comuni per la prima infanzia è di 906 euro ciascuno, con divari che vedono arrivare la spesa a Trento a 2.481 euro e scendere in Calabria a 149 euro. Anche crescendo, le disuguaglianze non spariscono: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio, con la provincia di Milano in testa, con una copertura del 95,8% delle classi, e quella di Ragusa fanalino di coda, con appena il 4,5% di copertura.

I dati Invalsi con la pandemia – Cali di apprendimento e divari sono evidenti nell’analisi degli ultimi test Invalsi, su cui pesano fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. Se la crisi ha colpito tutti gli studenti, le bambine, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica evidenziano risultati peggiori per gli adolescenti che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso, confermando come la dad abbia lasciato indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e di aiuto in casa, non sono riusciti a stare al passo col programma”.

Verso il futuro – “Il punto di svolta per invertire la rotta è il Pnrr – spiega Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children – combinato alla nuova programmazione dei fondi europei e alla Child Guarantee, un investimento complessivo sull’infanzia che non ha precedenti dal dopoguerra. Ma se l’impiego di queste risorse sarà volto a rafforzare solo i territori più attrezzati e verrà tutto deciso dall’alto, senza un coinvolgimento delle comunità locali e degli stessi ragazzi e ragazze, il rischio reale è quello di migliorare gli indicatori nazionali senza tuttavia ridurre, anzi aggravando, le disuguaglianze. È un rischio concreto, se si considerano i primi bandi sugli asili nido che hanno tagliato fuori molti territori tra quelli più privi di servizi”.

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