Bye bye Olanda. Il colosso anglo-olandese Royal Dutch Shell, quarta compagnia petrolifera al mondo, sposterà il suo quartier generale a Londra, e la sua residenza fiscale in Gran Bretagna nel quadro di una più ampia operazione di semplificazione della struttura societaria. Una bella botta per L’Aja che, grazie ad aliquote e conteggi della base imponibile particolarmente favorevoli e regole societarie che rafforzano i grandi azionisti, riesce ad attrarre ogni anno profitti di aziende da tassare per oltre 100 miliardi di euro. Quasi 5 di questi miliardi arrivano dall’Italia. Non stupisce che il governo olandese si sia detto “spiacevolmente sorpreso” dall’annuncio. Viceversa il ministro del governo inglese Kwasi Kwarteng ha sottolineato il “segnale di fiducia nei confronti dell’economia britannica”.

Non è ancora detta tuttavia l’ultimissima parola. Il governo sta tentando una sortita dell’ultimo minuto per far votare in parlamento una tassa del 15% sui dividendi che è stata indicata da Shell tra i motivi dell’addio e ha già causato l’abbandono del paese da parte della multinazionale Unilever, anch’essa anglo-olandese. Il governo olandese aveva promesso in passato che avrebbe eliminato anche questa tassa ma sinora non ha agito in tal senso. L’imposta ha un peso particolare nel caso di Shell che, per perseguire il riordino del suo assetto societario, sta riacquistando le sue azioni di categoria “B”, scambiate sul mercato londinese

A fronte di profitti dichiarati nel 2019 in Olanda per quasi 3 miliardi di dollari la compagnia ha pagato in tasse circa 212 milioni di dollari (186 milioni di euro) a cui si aggiungono 259 milioni messi a bilancio come imposte dovute ma non ancora pagate. Nel 2017 i vertici della compagnia avevano ammesso di non pagare praticamente neppure un euro di tasse sugli utili dichiarati in Olanda.

Più in generale Secondo Shell, la semplificazione della struttura dovrebbe garantire che l’azienda possa operare in modo più rapido e flessibile”. L’azienda continuerà ad “essere presente anche nei Paesi Bassi”, e “un certo numero di posti di lavoro si trasferirà nel Regno Unito”. Coerentemente con la scelta del trasloco il termine “Dutch” (olandese) sparirà dalla denominazione della società.

Lo scorso maggio un tribunale olandese ha condannato Shell poiché le sue strategie di sviluppo non sarebbero coerenti con l’obiettivo di contenimento delle emissioni di gas serra delineato negli Accordi di Parigi. Prima volta in cui l’accordo è stato ritenuto vincolante direttamente per un’azienda e non solo per i governi. La compagnia petrolifera ha fatto ricorso contro la sentenza. I vertici del gruppo negano che il trasferimento avrà qualche conseguenza sull’interlocuzione aperta con la giustizia olandese in merito alla definizione di strategie più sostenibili. La compagnia è sotto pressione anche per le mosse del fondo attivista gestito da Dan Loeb che chiede alla società di dividersi in due separando le attività nei combustibili fossili (petrolio e gas) da quelle nelle fonti rinnovabili in modo da continuare ad attrarre investitori che utilizzano criteri di sostenibilità.

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