di Giovanni Papa

Era il 4 marzo del ’79 quando, nella sua prima Enciclica, Giovanni Paolo II osservò che l’essere umano sembra “non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo”. Nessuna affermazione del passato oggi sembra più attuale.

A Glasgow, più che un patto per il futuro dell’umanità, sono andati in scena per l’ennesima volta i tanti interessi dominanti e compromessi al ribasso fatti di inviti senza alcun obbligo. Tanto entusiasmo iniziale, belle parole, proclami che adagiandosi sul lancio di un G20 mostratosi altrettanto fumoso, ricadono per l’ennesima volta in inconsistenti “decisioni prese per non decidere”.

Il fallimento sostanziale della Cop26 sottolinea, laddove non fosse già chiaro, quell’incapacità che le grosse potenze mondiali hanno di inquadrare il futuro della Terra, se non dalla miope prospettiva di quelle poche migliaia di persone appartenenti a superpotentati che ormai si sono messi in tasca anche le superpotenze. L’egemonia della finanza sulla politica e il solito ormai patetico compromessuccio hanno segnato una sempre più marcata delegittimazione dei governi, di fronte alle necessità energivore espresse delle più grandi multinazionali ormai in tutta evidenza diventate organi decisionali sovranazionali. Nulla di nuovo per quella solita economia che ancora oggi si mostra tracotante e per nulla incline a piegarsi a ciò che in futuro sarà inevitabile.

Di certo c’è che fino a quando i costi delle catastrofi naturali, conseguenti al surriscaldamento dell’atmosfera, saranno a carico della comunità, andando a ingrossare in tutto il mondo un enorme debito statale, spesso nelle mani di quelle stesse lobby che esercitano pressione sui governi, non potrà cambiare molto. Non c’è ancora nessun motivo valido per cui chi guadagna enormi cifre da una situazione che, da qualunque punto di vista la si veda, mostra uno squilibrato vantaggio a favore di pochi noti, possa in qualche modo accettare direttive per loro anche miti ma che possano giovare agli altri sette miliardi di “insignificanti” esseri umani.

Ed è così che, nascondendosi vigliaccamente dietro a opportunità di crescita matematicamente non più sostenibile, da un pianeta mediamente sfruttato al 150% (Overshoot Day), i manovrati riescono a spennare anche l’ultimo barlume di speranza, affossando addirittura il fondo da 100 miliardi per i paesi in via di sviluppo. In un solo giorno, ovviamente l’ultimo, sparisce il limite di attivazione del fondo al 2023, rimandando l’onere per i paesi sviluppati “almeno” per il 2025.

Uscito dalle mani della migliore penna horror sembra poi il successivo ciak, quando contemporaneamente a questi eventi, in quella stessa India capofila di turno dei paesi più reazionari e restii all’adozione di norme più decise contro il riscaldamento terrestre, la più grande e-commerce del mondo si prende gli “onori” delle notizie economiche fissando il record di vendite per un’unica giornata in 85 miliardi di dollari. Beffardo segno del destino che ridicolizza, numeri alla mano, l’inadeguatezza delle misure appena varate tra tutti i paesi più industrializzati a sostegno di quelli in via di sviluppo.

Ma lo strapotere delle lobby non termina qui. Sempre più voraci e sicure delle loro pedine, con un minimo sforzo lessicale riescono a condizionare, stravolgendolo, anche il periodo atteso per la decarbonizzazione, modificando la terminologia “phase-out” con un più accondiscendente “phase-down”, che vuol dire date fissate per ridurre in maniera graduale e non per eliminare definitivamente.

Insomma, tanta attesa per nulla. Unica nota positiva è che, per la prima volta, 197 Paesi si sono messi intorno a un unico tavolo per discutere della questione climatica, riconoscendo almeno che il tema esiste. Ben poca cosa per un pianeta in forte sofferenza.

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