di Carmelo Sant’Angelo

Nei 33 dialoghi che Platone ci ha lasciato ben 12 sono stati scritti contro i retori e i sofisti. Questa avversione è motivata dalla circostanza che entrambe le figure non dimostrano ciò che sostengono, ma persuadono le folle a partire dalla mozione degli affetti, dai dettati ipnotici che propongono con i loro effetti discorsivi, dalle speciose tecniche retoriche, dalla loro capacità di persuasione. Se vogliamo, pertanto, fondare la democrazia in Grecia, scrive il filosofo nella Repubblica, dobbiamo espellere sia i retori che i sofisti e lasciare il campo ai filosofi. Solo questi saranno in grado di guidare la polis perché affrontano i problemi usando argomenti razionali, mettendo i cittadini in grado di conoscere e, quindi, di decidere per il bene della collettività. La democrazia esige conoscenza. Ogni decisione irrazionale è un colpo inferto alla democrazia.

Se Platone oggi abitasse a Roma preferirebbe bere la stessa cicuta del compianto maestro. Aumentano i contagi, allora “coerenza” e “razionalità” pretendono che si comprima la manifestazione del dissenso, in particolare se svolto nei centri storici. La scienza, infatti, ci insegna che il virus è elitario e circola preferibilmente nei centri storici. Per questo motivo sarebbe, quindi, possibile prendere d’assalto i treni regionali, riempire i centri commerciali, assieparsi su autobus e metropolitane, fraternizzare sugli spalti degli stadi. Vi sono ovviamente delle eccezioni, per cui è possibile ammassarsi in centro città ma solo per: la vittoria degli Europei di calcio, partecipare ad un comizio, frequentare le chiese, le scuole, i ristoranti, i teatri e i cinema. Non è minimamente presa in considerazione la circostanza che l’impennata dei contagi possa anche dipendere dall’allentamento delle misure di cautela adottate fino all’avvento del green pass. “Il green pass crea un ambiente sicuro tra vaccinati” è stato il dogma draghiano, e lui, si sa, con “quella bocca può dire ciò che vuole”; anche disattendere l’evidenza scientifica. E’ noto che la sua bussola sia l’economia e su di essa si fondano tutte le decisioni del suo esecutivo: si elimina lo smart working perché il ritorno dei dipendenti in ufficio contribuisce ad aumentare il Pil; si vietano le manifestazioni in centro perché danneggiano la corsa consumistica prenatalizia; si elimina il cashback perché “il nero” spinge l’economia; si azzoppa la giustizia perché bisogna lasciare le mani libere agli imprenditori… I provvedimenti del governo sono, in sintesi, improntati all’insegnamento filosofico di Heidegger: noi occidentali “abbiamo un pensiero che è capace solo di far di conto”, capiamo solo ciò che è utile, ma non sappiamo più ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Bisogna riconoscere la coerenza di tale condotta perché il premier segue il suo daimon, ciò per cui ognuno di noi è chiamato, quello che i giapponesi chiamano “il messaggio dell’imperatore”, quello che noi cristiani chiamiamo “vocazione”.

Ma la cultura greca ci ammonisce che è giusto seguire la propria vocazione, ma ad una condizione: che non si oltrepassi il katà métron, cioè “la giusta misura”. Chi indica il premier come “uomo della provvidenza” lo spinge al malgoverno di sé e della propria forza, perché lo porta a desiderare ciò che non è in suo potere. Si supera la giusta misura quando si osservano esclusivamente i propri principi, mentre la politica è il luogo in cui dovrebbe trovare compensazione il conflitto delle diverse posizioni. La politica è mediazione e dialogo, nel senso etimologico del termine – tutte le parole che in greco iniziano per dià indicano “per mezzo di” oppure “separazione”, come ad es. “diametro”. Quando si mettono vaccinati contro non vaccinati, giovani contro pensionati, imprese contro i lavoratori, negozianti contro manifestanti, cittadini contro migranti si infrange il “katà métron”. L’uomo che non rimane fedele al “métron”, al limite invalicabile, commette “hybris”, tracotanza, preparandosi alla propria rovina.

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