Ci siamo svegliati dopo un lungo sonno azzurro. E abbiamo scoperto che non era un sogno, ma un incubo. Esattamente quattro anni dopo Italia-Svezia, il punto più basso della storia del pallone italiano, la nazionale è di nuovo con un piede fuori dal Mondiale, di nuovo ai maledetti spareggi dove può succedere di tutto. In mezzo c’è stata la vittoria agli Europei, che ci ha inebriato, probabilmente illuso. Quel trionfo non si cancellerà, la coppa resterà in bacheca insieme ai ricordi dell’estate 2021, ma adesso non ci aiuterà a qualificarci a Qatar 2022. E non andarci significherebbe sparire dai Mondiali per un periodo lungo 12 anni.
La domanda è come si possa passare dalle stelle al baratro nel giro di pochi mesi. Insieme a quale sia la vera Italia, quella che ci ha fatto sognare a Wembley o disperare a Belfast. Certo, la squadra vista contro l’Irlanda del Nord e in fondo anche all’Olimpico contro la Svizzera, era troppo brutta per essere vera: lenta, timorosa, prevedibile. In novanta minuti non siamo riusciti a perforare il muro della piccola Irlanda del Nord, ma l’impressione è che avremmo potuto continuare a giocare in eterno senza segnare, tanto è cupo il momento che stiamo vivendo.
Probabilmente, però, anche la nazionale stellare degli Europei non era vera. In fondo, le avvisaglie c’erano tutte già nella cavalcata di quest’estate. Che mancasse un centravanti era noto: in queste due ultime gare abbiamo rimpianto Immobile, che però aveva chiuso gli Europei tra le critiche in panchina. Le alternative non esistono: Belotti ormai ha una media gol da difensore, ieri Mancini aveva a disposizione Scamacca e Raspadori (3 gol in 2 al Sassuolo), il meglio che ha prodotto il campionato fin qui sono il vecchio Destro e il giovane Pinamonti, per il futuro si guarda a Lorenzo Lucca, classe 2000 (nemmeno giovanissimo quindi), all’attivo la bellezza di 11 presenze e 6 gol in Serie B. Quanto ai giocatori di fantasia, neanche l’ombra. Più che una crisi, è una depressione cronica.
C’è un problema di talento, lo sapevamo già. Lo avevamo mascherato con gambe, cuore e idee ma oggi questa squadra sembra non avere più nulla. Al di là delle tante assenze (che non possono essere un alibi), troppi giocatori chiave erano irriconoscibili (come Jorginho) o semplicemente stremati (tipo Barella). Il problema è che questo non era l’appuntamento decisivo per la nazionale, ma solo un intoppo nel calendario dei club. Un altro aspetto su cui dovrebbe riflettere la Federazione.
Così è svanita pure l’identità azzurra del palleggio e del bel calcio su cui Mancini aveva ricostruito la nazionale. Certo, se non corrono le gambe è difficile far correre la palla, ma proprio nei momenti più difficili bisognerebbe aggrapparsi alle proprie idee. Invece questa nazionale sembra non averne più. Persino il ct finisce sul banco degli imputati, perché il tifoso ha la memoria corta ma pure lui ha le sue responsabilità. Probabilmente il problema alla fine è soprattutto nella testa. L’Italia, che agli Europei non aveva quasi nulla da perdere e vinceva, ora che è costretta a vincere è schiacciata dalle sue paure e dai suoi limiti. E per questo perde. Ma una nazionale per essere grande dev’esserlo anche nello spirito. E forse l’Italia non lo è, se lo è stata per qualche settimana quest’estate ora non lo è più.
Adesso ci attendono i playoff, un’autentica roulette russa per come sono concepiti nella nuova formula di qualificazione. Non un solo spareggio andata e ritorno, ma due partite con due avversari differenti, in sfida secca. La prima in casa da testa di serie contro un avversario probabilmente abbordabile, la seconda in sede a sorteggio, contro formazioni temibili come Portogallo, Polonia, Svezia. Non ci resta che incrociare le dita, sperare di pescare bene nell’urna e arrivare a marzo in una condizione migliore. Comunque vada, da questa figuraccia una cosa l’abbiamo imparata: questa Italia non è una grande nazionale e il trionfo agli Europei è stato un miracolo. Adesso ce ne vorrà un altro per andare ai Mondiali.