A spingere i prezzi inglesi sono il costo dell'energia ma anche la carenza di manodopera che affligge settori come gli hotel e la ristorazione. Il picco dell'inflazione è atteso per il prossimo aprile quando dovrebbe collocarsi intorno al 5%. Intanto in Brasile il carovita supera il 10%. Aumentano le pressioni sulle banche centrali per una stretta monetaria
Dopo Unione europea e Stati Uniti anche la Gran Bretagna registra un’impennata dell’inflazione ad ottobre. L’incremento medio annuo dei prezzi al consumo raggiunge il 4,2%, il valore più elevato da un decennio e in deciso rialzo dal 3,1% di settembre. L’aumento supera le previsioni degli economisti che si attendevano un indice al 3,9%. Come sta accadendo in tutto il mondo a spingere l’indice sono soprattutto i beni energetici e, a cascata, dei trasporti. Nel caso della Gran Bretagna rincari sensibili hanno interessato anche alberghi e ristoranti alle prese con una carenza di addetti per effetto della Brexit e dunque costretti ad alzare i salari per reperire personale. Non aiutano, come altrove, i rallentamenti nelle catene di approvvigionamento che qui specialmente causano penuria di alcuni prodotti. L’inflazione di fondo, che esclude energia e cibo ossia le componenti più volatili, è a sua volta aumentata più del previsto collocandosi al 3,4% dal 2,9% di settembre. La Bank of England si attende che i prezzi al consumo saliranno ancora nei prossimi mesi raggiungendo un picco del 5% nell’aprile 2022.
Ieri l’Istat ha rivisto al rialzo dal 2,9 al 3% il dato sull’inflazione italiana di ottobre che si colloca così sui valori più alti dal 2012. Da segnalare il maxirincaro su base annua delle bollette energetiche (+ 42%). In Germania il carovita ha ormai raggiunto il 4,5%. Valore ancora più alto si incontra negli Stati Uniti (6,2%) dove i disequilibri nel mercato del lavoro stanno esercitando pressioni al rialzo sui salari in diversi settori. Spicca infine il caso del Brasile. Qui l’inflazione ha toccato in ottobre il 10,6%. L’economista ed ex consulente della Casa Bianca Larry Summers ha scritto ieri un editoriale sul Washington Post per invitare la banca centrale statunitense (Federal Reserve) ad agire per frenare i prezzi. Il rischio, secondo Summers, è che altrimenti si prepari il terreno per il ritorno al governo di Donald Trump. In generale dati sull’inflazione in crescita accrescono le pressioni sulle banche centrali per una strette delle loro politiche monetarie ancora ultra espansive. L’elevata quantità di moneta immessa nel sistema economico è infatti uno degli elementi che può favorire l’incremento dei prezzi. Lunedì la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha ammesso che il calo dell’inflazione ci sarà ma sarà più lento di quanto inizialmente previsto. Ha però escluso interventi sulle politiche di Francoforte. Il rischio delle “strette” è infatti quello di far mancare il sostegno ad un’economia la cui ripresa è in corso ma ancora fragile.