Ogni anno multinazionali e possessori di grandi ricchezze sottraggono al fisco 483 miliardi di dollari (426 miliardi di euro). Sono tasse dovute ma non pagate grazie a strategie di “ottimizzazione fiscale”. È quanto si legge nell’ultimo rapporto di Tax Justice Network (Tjn) diffuso martedì. L’organizzazione che sottolinea come la cifra indicata potrebbe essere solo la punta dell’iceberg poiché non tiene conto delle perdite indirette come la corsa al ribasso sulle aliquote applicate nel mondo che vede protagonisti i paesi che vogliono attrarre depositi di capitali. Il Fondo monetario internazionale ha stimato che le perdite indirette derivanti da abusi fiscali globali da parte delle multinazionali siano almeno tre volte maggiori delle perdite dirette. “I 483 miliardi di dollari persi nei paradisi fiscali ogni anno sono la punta dell’iceberg. È ciò che possiamo vedere in superficie grazie ad alcuni recenti progressi sulla trasparenza ma sappiamo che ci sono molti più abusi fiscali nascosti che costano di più in perdite fiscali”, ha affermato l’analista di Tjn Miroslav Palanský presentando i dati.

Tjn calcola che con questa cifra sarebbe possibile completare tre cicli di vaccinazione anti-Covid per l’intera popolazione del pianeta. Detta in altri termini ogni secondo i paesi perdono tasse per una cifra che basterebbe a vaccinare mille persone. La cifre equivale inoltre al 10% del budget destinato dai paesi ricchi alla sanità pubblica. Più nello specifico 312 miliardi di mancato gettito sono riconducibili alle pratiche messe in atto da aziende multinazionali, altri 171 miliardi all’occultamento di ricchezze individuali. Uno dei modi più diffusi per eludere le tassazioni è quello di spostare i profitti nei paesi a giurisdizione segreta attraverso operazioni infragruppo. A titolo di esempio le varie filiali di Google pagano ogni anno a Google Bermuda l’utilizzo delle licenze sui software spostando qui gli utili realizzati in altri paesi. Un altro è l’utilizzo dell’istituto giuridico anglosassone del trust che, di fatto, “separa” formalmente un individuo dalle sue ricchezza con ovvie ricedute sulla tassazione.

Questa gigantesca e perpetua pratica di evasione fiscale è possibile grazie ad un “piccolo club” di pochi paesi che mantengono regimi fiscali particolarmente favorevoli e il segreto sui possessori delle ricchezze che costudiscono. Tra questi spiccano Olanda, Svizzera, Lussemburgo e le ex colonie britanniche (come isole Cayman o Bermuda) che di fatto dipendono da Londra. Secondo il rapporto la sola Italia perde ogni anno quasi 6,5 miliardi di dollari, di cui circa 2 miliardi riconducibili ad aziende ed oltre 4 miliardi a singoli individui. Una cifra comunque ben al di sotto di quelle relative a Germania (43,7 miliardi) o Francia (41 miliardi). Il 39% dell’evasione riconducibile alle imprese avviene grazie alle giurisdizioni riconducibili alla Gran Bretagna. Si sale al 55% se si considera quella che il rapporto definisce “l’asse dell’elusione” di cui oltre alla Gran Bretagna fanno parte Olanda, Svizzera e Lussemburgo. Più nel dettaglio alle isole Cayman finisce il 17% del gettito sottratto, in Gran Bretagna il 14%, a Singapore il 6,3%, in Lussemburgo il 6,2%, in Olanda il 5,7%, in Svizzera il 4,3%, in Irlanda il 3,9%. La sola Olanda infligge ogni anno un danno agli altri paesi stimato in 27 miliardi di dollari, la Gran Bretagna addirittura 68 miliardi.

Tre i rimedi proposti da Tax Justice Network – Il primo è quello di spostare le definizione delle regole fiscali internazionali dall’Ocse all’Organizzazione delle nazioni unite. Il secondo è l’introduzione di una tassa sugli extra profitti delle multinazionali generati dalla pandemia e dai lockdown (caso di scuola quello di Amazon che ha visto i suoi ricavi salire vertiginosamente grazie alle chiusure dei negozi e quindi al boom degli acquisti on line, ndr). Il terzo è l’applicazione di una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze individuali per aiutare a finanziare le misure di sostegno post pandemico. Per cercare di arginare il fenomeno 136 paesi hanno recentemente concordato l’applicazione di una tassa minima globale sui profitti delle multinazionali del 15%. Se un paese pratica un prelievo del 5%, il paese di residenza dell’imprese può riscuotere il rimanente 10%. Un sistema che riduce la convenienza del ricorso ai paradisi fiscali ma che finisce per favorire unicamente i paesi ricchi dove le multinazionali hanno sede.

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