"Chiudiamo reparti per aprire quelli Covid, ma non basta". Il racconto della responsabile sanità Fp Cgil di Trieste e Gorizia, dove manca personale specializzato perché decine di operatori sono stati sospesi in quanto non vaccinati e altri "tra stress e turni di 12 ore hanno deciso di lasciare e passare al privato". Il presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri, Alessandro Vergallo: "Superata la soglia del 10%"
“Si sta di nuovo trasformando tutto, ancora una volta. Ma stavolta non è più come quando c’era il lockdown e la gente stava chiusa in casa. Adesso sono tutti in giro, c’è l’influenza, gli altri malati: dove li mettiamo?”. Al telefono con Francesca Fratianni, responsabile sanità per la Fp Cgil di Trieste e Gorizia, sembra di essere tornati indietro di un anno o forse più. Nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia è tutto un travaso di personale, tra reparti che chiudono per affrontare la nuova ondata di Covid che in questa terra di confine rialza la testa troppo in fretta. La gravità del quadro sta nei numeri diffusi dal presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac) Alessandro Vergallo: in regione, ha detto, “c’è una situazione allarmante per l’occupazione delle terapie intensive. È oltre la soglia del 10%“. E nonostante la riorganizzazione dei reparti, il pronto soccorso dell’ospedale di Cattinara, uno dei più grandi in regione, è già in affanno. Tanto che Fp Cgil, Fials e Nursind hanno firmato un appello a Medici Senza Frontiere, Emergency e a chiunque sarà in grado di mandare personale per aiutare la sanità locale. Secondo Vergallo, “se non verrà applicata in modo stringente la norma sul green pass e non si incentiveranno le terze dosi, potremmo raggiungere una situazione drammatica nel giro di un mese e mezzo circa in tutto il Paese”.
Nella voce di Francesca Fratianni c’è un allarme che è già oltre la preoccupazione. Perché a Trieste e Gorizia la situazione ha superato il livello di guardia, mentre in tutta la regione casi di coronavirus e ricoveri continuano a crescere. “Slovenia e Croazia sono zone rosse con un basso numero di vaccinati, da dove arrivano molti lavoratori a cui nessuno controlla il green pass”, spiega. E poi ci sono state le manifestazioni No Pass. “Sia a Trieste che Gorizia, con tanta gente venuta anche da fuori regione che ha riempito mezzi pubblici e bar”. Ma soprattutto c’è la questione degli operatori sanitari non vaccinati. “Tra esoneri e no vax è in crisi tutta l’assistenza diretta, basti pensare ai servizi legati alla psichiatria, che nella città di Franco Basaglia vede l’operatività sulle 24 ore sospesa e due sedi chiudere perché mancano ben 50 unità di personale”. In generale nella sola sanità triestina sono 65 gli esonerati dal vaccino e 50 i sospesi perché non lo hanno voluto. Se si tiene conto che un reparto è formato in media da 20 unità, già questi numeri corrispondono a cinque reparti chiusi. E infatti sono già state chiuse la riabilitazione, compresa quella post ictus, e la geriatria nel centrale ospedale Maggiore.
“C’è poi la clinica medica, già trasformata in reparto Covid, mentre la chirurgia generale viene sacrificata per aprire un reparto Pneumo Covid. E poi c’è l’Iperbarica che è il centro di riferimento regionale e rischia la chiusura perché bisogna recuperare due anestesisti per i pazienti Covid”. E non è tutto: “L’intero complesso operatorio ha ridotto le sedute e gli interventi in day surgery sono stati chiusi, si operano solo le emergenze”.
Eppure, nonostante gli sforzi e i sacrifici sugli altri fronti dell’assistenza, i posti recuperati sono troppo pochi. Perché la quarta ondata sembra muoversi in fretta. “I controlli a domicilio delle Unità speciali di continuità assistenziale, le Usca di Trieste, chiudono i turni serali con decine di persone ancora da visitare, anche malati con bollino rosso. Di recente le hanno lasciate in carico ai medici di guardia, siamo messi così”, racconta Fratianni. Una situazione che nel pronto soccorso dell’ospedale di Cattinara si traduce in una media costante di 20 ventilati Covid, che rimangono in Osservazione Breve Intensiva finché non si trova loro una sistemazione. E nell’appello dei sindacati si riferisce di pazienti sottoposti a ventilazione “privi di un posto letto disponibile”. “Così chi arriva al pronto soccorso non vede una sola barella, non ce ne sono. Tutte già dentro, tutte già occupate”. E ancora: “Abbiamo 30 posti letto Pneumo Covid, attualmente 23 quelli occupati. Ma il problema è che manca il personale specializzato, che ha bisogno di 12 mesi di formazione, e intanto perdiamo anestesisti che tra stress e turni di 12 ore hanno deciso di lasciare e passare al privato. Quattro negli ultimi sei mesi”. Insomma, l’azienda sanitaria, spiegano i sindacati locali, “pur disponendo delle necessarie apparecchiature per la ventilazione, non è provvista di personale sufficiente per l’utilizzo di tale strumentazione”, mentre l’attuale sospensione di professionisti specializzati “non garantisce la normale copertura dei turni e non consente di formare le poche unità che il sistema tenta di recuperare con la chiusura di reparti ospedalieri ordinari”.
Tanto che i sindacati hanno lanciato un sos e un appello, a partire da quelli inviati al ministro della Salute Roberto Speranza e al governatore della regione, Massimiliano Fedriga. Ma soprattutto a realtà come Emergency e Medici senza frontiere, perché offrano un supporto di medici e infermieri per tamponare la situazione. Purtroppo, la prima risposta negativa è già arrivata. “Il dipartimento medico operativo ci conferma che purtroppo al momento non disponiamo di staff medico sul territorio italiano che non sia già impiegato in altri servizi”, ha fatto sapere l’associazione umanitaria Emergency. “Non siamo pertanto in grado di soddisfare le richieste che ci pervengono in tale senso”.