Zero, Sarah e Secco sono tre trentenni animati di periferia, figli di un tessuto sociale e generazionale abituato a percepirsi come marginale, inquieto, fuori posto, ma autoconsapevole fino a rasentare la nevrosi (ad eccezione di Secco che molto più onestamente preferisce ripiegare sul gelato). Devono affrontare insieme un viaggio di sei episodi fatto di ricordi, constatazione dei propri tic e di rimpianti più o meno taciuti ed elaborati.

È questa, molto all’osso e cercando di schivare spoiler come se fossero secrezioni altrui in un bagno pubblico, la trama di Strappare lungo i bordi, la serie Netflix di e “con” Zerocalcare, Michele Rech per l’apparato burocratico statale, celebrato autore di fumetti proveniente dalla controcultura romana dei movimenti, eccetera eccetera.

La verità di chi scrive è che è difficile approcciarsi con atteggiamento neutrale alla visione di quest’opera animata se si condividono con l’autore, oltre all’appartenenza alla stessa generazione, anche la stessa visione del mondo, l’adesione a certe lotte, il retroterra pop che ne arricchisce l’immaginario. Come in una sorta di profezia autoavverante, l’autore de L’elenco telefonico degli accolli si tira addosso un proverbiale accollo di aspettative “coetanee” che è difficile siano esaudite, proprio perché è nell’esperienza individuale che il lessico condiviso si declina in forme diverse, che fanno di lui l’autore di un’opera e di me uno che ne scrive. Anche se alcune delle nostre macerie si assomigliano, a ognuno tocca dare un nome alle proprie, raccontarle dal proprio punto di vista. Il terreno che rimane comune è una landa colorata ma malinconica, una sensazione di lutto la cui percezione è collettiva, ma la cui elaborazione rimane un fatto intimo, privato.

Avrebbe potuto essere una serie su Genova o sugli effetti del capitalismo post-bellico su una data categoria umana e sociale: in un certo senso Strappare lungo i bordi è una serie su entrambe le cose che ha però l’intelligenza di evitare vicoli ciechi narrativi, di mantenersi esilarante senza essere gratuita, e di schivare tentazioni di essere esemplare. Grazie all’estro dell’autore, l’opera scansa l’autocommiserazione come se fosse l’ennesima responsabilità “accollata” e non richiesta, e celebra invece le storie “piccole”, le fragilità che l’attuale regime economico spesso censura in quanto improduttive, in una sorta di meta-ribaltamento animato delle aspettative.

D’altronde la storia sociale, politica, culturale dei nati negli anni 80, almeno per quanto riguarda l’Occidente egotico del nostro mondo, rimane proprio una storia piccola, di mezzo, di passaggio tra un’era di illusorio trionfo del benessere materiale e un’altra di benessere virtuale, proiettivo, accelerato e cangiante. Il terreno è comunque quello di uno scontro: da un lato ci sono il desiderio e la ricerca di un posto nel mondo che sia in linea con l’idealismo che ci hanno sciolto nel biberon, dall’altro un mondo che ti ricorda costantemente quanto autoriferite e fuori focus siano le tue aspettative, e quanto sopravvalutarle ci distragga, ci alieni dalla realtà dell’altro, compagno/a di dolore e disillusione ma in un linguaggio che è soltanto suo. Un mondo che non è mai sembrato così vasto e collegato, ma in cui gli spazi di realizzazione sembrano drammaticamente ridotti. Uno scenario nuovo, da attraversare col minor peso possibile sulle spalle, perché disorientante.

Sotto questo punto di vista, non c’era modo più onesto di affrontare la materia, a dispetto delle aspettative di tutti i Soloni dell’impegno e della sofferenza altrui. Parafrasando i Tre Allegri Ragazzi Morti, ogni generazione degna di questo nome conosce la sua guerra, c’è chi sopravvive alle macerie e chi ne rimane sepolto. L’attraversamento di questa linea d’ombra per Conrad aveva i confini del mare, per Zerocalcare ha i confini di una linea di cartone tratteggiata, che tuttavia non facilita il compito di definizione del proprio strappo. Alla luce di questo, forse quel tempo sospeso tra fanciullezza ed età adulta di cui abbiamo tanto pudore, più che una condanna, per certi aspetti rimane un privilegio da difendere con i denti, almeno finché reggono senza l’ausilio dell’odontotecnica.

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