di Barbara Pettirossi

Di questi tempi vanno di moda i salvatori della patria e le nuove star, nei confronti dei quali la fiducia sembra solida e incrollabile con tanto di applausi. Poi ci sono le Istituzioni, entità astratte e cangianti, di cui è difficile fidarsi.
In un articolo della rivista Il Mulino si cerca proprio di cogliere l’elemento chiave alla base delle due posizioni, dei pro-vax e dei no-vax: il grado di fiducia nelle Istituzioni. Quando questa è assente, ecco che compaiono all’orizzonte i salvatori Mario e le star Bob, incarnazione di tutto ciò che si agita dentro di noi, che illuminano la via delle nostre insicurezze. Per quelli del pensiero “libero” fidarsi delle Istituzioni equivale a suonare il piffero alla “propaganda di regime”.

Nessuno dei rappresentanti delle Istituzioni sanitarie ci ha mai detto che se avessimo fatto il vaccino avremmo ottenuto l’immortalità, o che il vaccino sarebbe stato per sempre, o che il virus sarebbe stato “sterilizzato”. Semplicemente, avremmo potuto ragionevolmente ridurre il cosiddetto “fattore di rischio” soprattutto per gli anziani e i più fragili (la vera prima minoranza). L’uso delle mascherine anche da parte dei vaccinati servirebbe appunto a contrastare la possibilità che questi (i vaccinati) siano contagiosi.

Il problema è sorto quando l’Istituzione politica ha adoperato la scienza a suo uso e consumo: open day di massa per i giovani quando gli enti preposti invitavano alla prudenza, green pass rilasciati arbitrariamente come nel caso del tampone (chi si fa il tampone alle sette di mattina ed è negativo, non è detto che non possa contrarre il virus tre ore dopo) e altre inesattezze comunicative, che hanno avuto il demerito di creare una grande confusione.

A questo, si aggiunge il fatto, non secondario, che le Istituzioni sono state chiamate a prendere decisioni concrete in un costante work in progress pandemico. Ossia il virus mutante non ha lasciato margine ad amenità filosofiche, ricostruzioni ideologiche attraverso assonanze discutibili con periodi bui della nostra storia, a trial clinici pluriennali. Inoltre, il rapporto rischio/beneficio in questo preciso momento pandemico non riguarda solo il singolo, ma è anche la somma dei rischi/benefici all’interno della collettività. E questo ci rende più vicini di quanto pensiamo.

Ciò non significa fiducia cieca nelle Istituzioni, ma una “fiducia attenta”. Porgiamo il braccio al vaccino, ma con gli occhi aperti e lo sguardo vigile. Una cosa non esclude l’altra.

I no-vax si informano, leggono, studiano, alcuni di loro non sono diventati medici virologi solo per l’assurda formalità degli studi universitari, altri hanno tutte le carte in regola ma ritengono che la moltitudine di medici che non sono andati in televisione e che non sono sui social, i quali consigliano il vaccino ai loro pazienti, siano una massa di imbecilli al soldo delle industrie farmaceutiche o del regime. Come se, invece, tutti i farmaci alternativi al vaccino, o le vitamine, si raccogliessero gratuitamente nei campi. Provate ad andare in erboristeria assiduamente e fate il conto di quanto vi costano gli integratori alimentari. Solo i ricchi possono permettersi, di questi tempi, di integrare la propria dieta a trecentosessanta gradi, liberi dai Big Pharma, a beneficio del proprio sistema immunitario.

Che ci piaccia o no, le Istituzioni sono la sede in cui si stabiliscono le regole democratiche, grazie alle quali andiamo in ospedale a carico del sistema sanitario quando siamo malati e ci indigniamo se la sanità pubblica non funziona. Circa l’80% dei vaccinati oggi in Italia riconosce nel vaccino, nonostante i dubbi, una possibile soluzione alla pandemia ed esprime la sua fiducia nel progresso scientifico. Bollare questa maggioranza come incapace di intendere e di volere equivale a disconoscere l’ipotesi di un punto di vista diverso circa il concetto di salute pubblica.

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