Contratti a chiamata da 6 euro l’ora. Straordinari non pagati e giorni di malattia negati, pena il mobbing o il mancato rinnovo. Finti part-time che mascherano una realtà fatta di 60 ore di lavoro alla settimana, in buona parte notturne. Per poco più di 1.000 euro al mese, quando va bene. Nessuno spazio per la vita privata. Livelli di stress altissimi, spesso affrontati abusando di droghe e alcolici per non crollare. Con la conseguenza che molti, a un certo punto, dicono basta. Si licenziano, cambiano settore, a volte se ne vanno all’estero. Sono le storie inviate da lavoratori del settore della ristorazione e dei bar a redazioneweb@ilfattoquotidiano.it, nell’ambito della campagna No al lavoro sottopagato del fattoquotidiano.it.
“La scuola alberghiera negli ultimi anni ha avuto un vero boom di iscrizioni complice il cosiddetto effetto Masterchef“, racconta Davide. “Ma la realtà è fatta di salari in nero, vessazioni, ricatti, giornate lavorative di 17-18 ore di fila. Per questo la maggior parte dei diplomati cambia ambito lavorativo pochi anni dopo il diploma”. E così si spiegano anche le lamentate difficoltà di ristoratori e chef a trovare collaboratori che accettino di lavorare a queste condizioni. L’emergenza del lavoro sfruttato riguarda però quasi tutti i comparti, dall’accoglienza alla sanità passando per logistica e comunicazione. Continuate a scriverci le vostre testimonianze.
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Ecco la mia testimonianza dal mondo della ristorazione romana. Nel 2007 sono stato stagista in un bar d’albergo: 120 giorni full time a 0 euro l’ora, nemmeno un rimborso spese. A seguire, come “premio” per la perseveranza, 6 mesi di contratti giornalieri al sesto livello ccnl turismo: massimo 10 turni al mese, paga oraria circa 7 euro l’ora tutto compreso. Nel 2010 sono stato apprendista part-time come “aiuto pizzaiolo”. Ma quel cocktail bar non aveva nemmeno la cucina. Di fatto ho lavorato 50 ore a settimana come barista per 800 euro al mese. Nel 2012, con un part time per una cooperativa multiservizi, ho fatto in realtà il barman d’albergo full time. Salvo dover dare le dimissioni (mi ero rifiutato di consegnare le mance all’azienda). 2015: di nuovo barista part time, nella realtà manager del locale. Sessante ore a settimana, la maggior parte delle quali notturne, per 1.100 euro al mese. 2017: supervisore di reparto d’albergo. Dopo un anno di straordinari notturni non retribuiti, una sola volta ho detto no a causa di un impegno personale. Due settimane dopo il mio contratto non è stato rinnovato. Oggi sono banconista a chiamata: prendo 5,5 euro l’ora comprensivi di tutto per gestire, di fatto, bar e personale di un ristorante.
Mattia D.
Lavoro nella ristorazione da 21 anni. Ho cominciato a 17 anni in un grande ristorante nell’hinterland di Napoli, per lo più si facevano cerimonie e banchetti. Il proprietario mi aveva preso “per imparare” ma lavoravo in media 60 ore alla settimana per la ridicola cifra di 50.000 lire. Me ne sono andato dopo un anno. Sono seguiti anni di lavori più o meno precari retribuiti per lo più a nero finché, stufo di essere sfruttato, ho deciso di trasferirmi “al nord”. In una nota catena di alberghi di lusso in Toscana ho avuto un contratto semestrale da commis da 900 euro al mese lavorando 10/14 ore al giorno nel ruolo di chef di partita, con la promessa che a fine stagione si sarebbe fatto un conguaglio del dovuto…cosa che alla fine ho dovuto rivendicare con gli avvocati. In un bellissimo ristorante di Parma mi hanno messo a capo di un intero settore, ma con turni da 10 ore al giorno (e due giorni da 5 ore che per loro erano “mezzo riposo“). Poi mi sono infortunato al ginocchio: in ospedale mi hanno dato un mese di malattia, al mio rientro al lavoro mi è stato detto che il mio posto era a rischio. Mi sono licenziato. Ora lavoro per una grande azienda di ristorazione autostradale, con contatto indeterminato regolarmente pagato. La ristorazione con gli chef in divisa come quelli della tv era il mio sogno, ma quasi per nessuno si realizza.
L’autore vuole rimanere anonimo
Oggi sono uno studente universitario prossimo alla laurea, ma in precedenza ho fatto la scuola alberghiera e collezionato una serie di esperienze che mi hanno convinto del marciume di questo settore. Ho constatato lo smodato abuso di droghe e alcolici per reggere orari massacranti, l’assenza di tutele, i contratti farlocchi, le ore lavorative non sono 40 a settimana ma come minimo il doppio, le retribuzioni in nero e per un quinto delle ore realmente effettuate, lo stress che porta allo sviluppo di disturbi psicologici. Ho visto con i miei occhi innumerevoli casi di burnout. Ho visto molte famiglie sfasciarsi a causa di un settore che assorbe completamente le persone e le priva di ogni spazio privato. Molti dopo anni di questo lavoro si sono fiondati in fabbrica dove almeno gli orari sono prestabiliti e vengono rispettati, e soprattutto gli straordinari vengono pagati. Nessuno, sui circa 30 compagni di corso dell’alberghiero, ha continuato a lavorare nel settore.
Davide P.
Ho lavorato per otto anni in un bar di Milano, per 10 ore tutti i giorni più gli straordinari. La domenica facevo 16 ore (chiudevo alle 2 di notte) senza stacco. E il lunedì mattina aprivo alle 6:30. Se andavo in ferie mi venivano scalati dalla paga 15/20 euro al giorno. Idem per la malattia. A un certo punto ho deciso di avere un figlio e mi sono licenziata. Sapevo che ci sarebbero state discussioni sui turni, visto che il locale è aperto fino alle 2 di notte e io non ho aiuti per badare al bambino. I baristi e ristoratori offrono questo. Le paghe sono intorno ai 6 euro all’ora. Ti fanno un contratto, ma non viene rispettato, è giusto per essere coperti.
L’autrice vuole rimanere anonima
Sono uno chef siciliano di 36 anni. Ho lavorato per più di 7 anni in noto albergo nel quadrilatero della moda a Milano: i turni erano massacranti, minimo 12 ore fino ad arrivare a 14-15, ovviamente con una paga base al minimo sindacale, e i ragazzi in stage ricevevano un’elemosina di 300 euro per 10-12 ore al giorno. Parliamo di alberghi dove un sandwich o una margherita in camera si pagano 28 euro, con attori e calciatori tra i clienti. Gli altri reparti avevano regole e orari ben precisi, per noi cuochi andava così. Se ti lamentavi, al successivo rinnovo del contratto eri fuori. Per chi aveva un tempo indeterminato scattava il mobbing.
Nicola S.
Mia figlia fa la cameriera. In 10 anni ha cambiato decine di ristoranti ma ha sempre subìto più o meno lo stesso trattamento: contratti a termine part time ma orari reali oltre il full time, turni spezzati (6 ore a pranzo e 6 a cena), straordinari non pagati, riposi dovuti non concessi, ferie negate. Il personale non timbra la presenza ed è quindi impossibile dimostrare le ore effettivamente lavorate e i giorni liberi non goduti. La Corte di giustizia europea nela sentenza C55/18 del 14/05/2019 afferma che in ogni luogo di lavoro a prescindere dal numero di dipendenti dev’esserci un sistema di rilevamento delle presenze. In Italia non è ancora recepita.
Arturo A.Sono un ragazzo di 29 anni, vivo in Olanda dove lavoro nel settore della ristorazione. Siamo pagati bene e tutte le ore di straordinario sono pagate in busta. Dopo aver vissuto per quattro anni a Londra ero tornato in patria per mettere a frutto le esperienze fatte, ma in Veneto il 90% dei ristoratori paga in nero e fa lavorare 50-60 ore alla settimana con contratti part time. Sono dovuto scappare via di nuovo.
Lello T.
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