Claudia Paladini, pugliese, è andata via dall’Italia nel 2007, quando si è trasferita in Austria per il dottorato. Ora è astronoma a Santiago e fa parte dello staff operativo del Very Large Telescope. Ogni tanto pensa a tornare: “Un giorno, probabilmente per la pensione, o forse un po’ prima"
“Qui c’è movimento, un’esplosione nella ricerca, un continuo aprirsi di posti da docenti universitari. Sono partita il 27 luglio del 2017: in Cile ho realizzato il mio sogno da bambina”. Claudia Paladini, pugliese, è astronoma a Santiago, in Cile. La sua voce allegra e limpida arriva dall’Osservatorio nel deserto di Atacama, a 2.700 metri di altezza. “L’Italia la amo, ma spesso mi fa bollire il sangue, sarei una bugiarda se non lo dicessi”.
Claudia è andata via dall’Italia nel 2007, quando si è trasferita in Austria, all’Università di Vienna, per il dottorato di ricerca. “Era la mia sfida personale”, ricorda al fatto.it. La prima volta che ha avuto la sensazione di andare via dall’Italia è stato qualche anno prima, precisa, “quando mi sono trasferita da Leverano, il mio paesino in provincia di Lecce, a Padova, per frequentare l’università. È stato un salto più grande che non andare da Padova a Vienna. C’era la barriera linguistica dei dialetti, c’era il passaggio dal paese alla città, c’erano i viaggi della speranza nell’Espresso 943 Trieste-Lecce. C’era la diffidenza di chi mi vedeva come un essere inferiore solo perché venivo dal Sud (per fortuna non tanti). Era la fine degli anni ’90, sicuramente ora le cose sono diverse”.
Prima di vincere il posto come astronoma nello staff operativo del Very Large Telescope dell’Osservatorio Europeo Australe (ESO), in Italia Claudia ha fatto solo lavoretti saltuari da studente. “Quando ho iniziato il dottorato in Austria la prima cosa che mi hanno fatto notare i miei amici italiani era la differenza di stipendio, il fatto che io avevo i contributi versati per la pensione, tredicesima e quattordicesima, un’assicurazione sanitaria, e loro facevano fatica ad arrivare a fine mese con le famiglie a carico”. Altra differenza è il modo in cui vengono presentate le offerte di lavoro e i concorsi. “Mi addormento sempre alla terza riga del bando”, sorride, “Chi scrive i bandi dei concorsi italiani?” Claudia crede e spera che la situazione sia cambiata negli anni: “Vedo uno sforzo per migliorare e fare passi avanti – aggiunge –. C’è fame nella ricerca italiana, non ci sono fondi e non è una frase fatta. C’è fame nella ricerca e questa fame si sta allargando anche agli altri Paesi europei”.
Oggi il suo lavoro si divide tra il servizio all’Osservatorio astronomico e la ricerca a Santiago. “La città è grande e offre tanto. Della vita in Cile adoro i fine settimana fuori porta: da Santiago in un’ora sei al mare, e in un’ora sei in montagna. La natura è pazzesca”. Per arrivare all’Osservatorio occorrono invece 6-7 ore di viaggio. Le osservazioni durano dagli 8 ai 14 giorni, di notte. “Si guarda il tramonto come da rituale tutti insieme e ci si siede ai posti di comando per iniziare a osservare. Piccola pausa a metà notte e poi osservazioni fino a mattina, quando si va a dormire”.
A Santiago il lockdown è stato preso molto seriamente. Da marzo 2020 è scattato il coprifuoco, con qualche oscillazione di orari. A marzo 2021 è stato introdotto il “pase de movilidad”, che “permette un minimo di libertà a chi si è vaccinato”, spiega Claudia. Per quasi due anni le conferenze, le osservazioni, tutte le interazioni si sono spostate online. “Con i contagi in calo e l’altissimo numero di vaccinati pian piano stiamo tornando a incontrarci, sempre rigorosamente con mascherina e Green pass”.
Tornare? Sì, “vorrei tornare a vivere in Italia un giorno, probabilmente per la pensione, o forse un po’ prima, chissà”, risponde l’astronoma. “Mi manca molto il Salento, la mia terra, il mio mare: ho bisogno di almeno due settimane all’anno a 40 gradi”, sorride. “Quando penso alla vita in Italia mi scontro con la burocrazia (vedi il limbo in cui mi troverei se rientrassi solo perché vaccinata fuori dall’Europa), con la lentezza di alcuni processi (uso del bancomat e della carta di credito, digitalizzazione), con qualche furbacchione che non vuole fare la ricevuta”. Con la precarietà “dei miei coetanei”, con chi “si lamenta a prescindere”, chi “dà la colpa allo Stato e ai poteri forti”, chi “continua a dire che in Italia funziona tutto benissimo e non ha mai messo piede fuori dalla porta”.
Tra 10 anni, dopo la pandemia, Claudia si immagina sempre più a contatto con le nuove generazioni. Fare ricerca per lei significa lavorare ai suoi dati in ufficio, ma anche partecipare a conferenze, andare in osservatorio, parlare ai giovani, spiegare in collegamento con le bambine di una scuola in giro per il mondo che tutto è possibile. E poi tornare a casa, “mangiare la pizza sul divano con il mio compagno”, guardando un film con le luci di Santiago alle spalle, e il mare di Porto Cesareo nella testa. “Aspettando – conclude – la prossima estate”.