Riuscire a cogliere ed interpretare quello che le nuovi generazioni vivono, pensano e vogliono è fondamentale per capire cosa noi boomer, che abbiamo goduto dei benefici sociali di un paese in fase di sviluppo consegnatoci dai nostri genitori, dovremmo offrire ai nostri figli per compensare il fallimento di avergli lasciato una Italia allo sfascio.
A tal proposito torna utile soffermarsi sulle indicazioni fornite dalla analisi dell’Osservatorio Nuove Generazioni, che ha riguardato un campione di un migliaio di giovani imprenditori e imprenditrici in tutta Italia tra i 20-42 anni, prodotto da Confcommercio Giovani e OneDay Group con il sostegno di Facebook Italia. Perché, anche se l’autoimprenditorialità dei giovani (soprattutto al Sud) non decolla, non è detto che i giovani non vogliono fare impresa.
Anzi, secondo quanto rilevato dalla ricerca, nonostante la maggior parte pensi che la situazione economica dopo la pandemia sia peggiorata, il 64% di chi già ha un’impresa, pur tenendo presente che burocrazia e troppe tasse sono le difficoltà croniche che incontrano i giovani imprenditori, fonderebbe una nuova azienda oggi. Si tratta di giovani preparati non solo in termini di leadership e capacità organizzativa (che riconoscono come skill fondamentali) ma anche e soprattutto dal punto di vista delle competenze per il “fare” e per l’execution: vanno pazzi per la concretezza per intenderci. Competenze che invece fanno fatica a ritrovare nei collaboratori visto che uno su tre lamenta la difficoltà a reperire maestranze con adeguate competenze tecniche soprattutto in aree come il digital o la finanza.
Vi starete chiedendo: “Dove si blocca allora il meccanismo che continua a produrre la convinzione che in Italia il mito dei giovani continui ad essere il “Checco” del film di Zalone Quo vado?. Perché – la ricerca ce lo conferma – tra gli aspiranti imprenditori (cioè quelli che ancora non sono imprenditori) c’è più sfiducia visto che il 56% non si lancerebbe in un’attività imprenditoriale ora. In altri termini esistono delle barriere all’entrata che viste da fuori sembrano molto più alte di quanto effettivamente lo siano nella realtà.
Quali?
Il reperimento del capitale iniziale, per oltre il 30% degli aspiranti imprenditori, è un problema fondamentale visto che oltre il 60% degli stessi dichiara di non avere capitale proprio. Poi c’è l’incognita della idea innovativa: quasi il 30% dice molto onestamente che semplicemente non ha un’idea così vincente. Una conferma di quanto sostengo da tempo: due barriere che possono essere superate se gestite da professionisti dei processi di avviamento e riorganizzazione delle startup.
La riprova è fornita dalla stessa ricerca: il 42% degli intervistati afferma che per entrare nel mercato delle imprese sono utili i servizi delle associazioni, le consulenze private, gli eventi e i networking. E’ necessario, pertanto, che i giovani aspiranti imprenditori si facciano qualche domanda perché il percorso per “fare impresa” non è semplice ma neppure impossibile se si seguono tre step necessari.
Il primo passaggio è una autovalutazione che prescinde dalla eventuale idea che avete nella testa: che propensione al rischio ho nel mettermi in proprio oggi? È cambiato qualcosa rispetto al periodo pre-pandemia? Posseggo le competenze ritenute importanti o necessarie? Ho fatto una analisi dell’equilibrio vita/lavoro che ricerco? Ho i giusti “attributi”.
Perché per fare impresa occorre coraggio, mettersi in testa che sarà una vita non costellata da certezze ripagata dalla gioia del rischio (anche reddituale e patrimoniale) e della sperimentazione che ci spinge a spostare sempre più avanti i limiti della nostra azione basata su una fiducia incrollabile nelle nostre capacità.
Solo dopo questa auto-analisi, si può passare al secondo step, la costruzione di un business plan, il documento che presenta il progetto di impresa al fine di valutarne la fattibilità, la redditività e la sostenibilità: è costruito con professionalità e competenze? O ci affidiamo a chi, legato ad un mondo che non c’è più, continua a produrre delle “favolette” che fanno sorridere i potenziali finanziatori?
Successivamente, terzo step, solo se ho tra le mani un business plan credibile, posso rivolgermi ai potenziali finanziatori. Quali?
Sicuramente non il classico sistema bancario: meglio pensare ad un viaggio sulla luna. Ottenere un aiuto finanziario da parte del sistema bancario è una delle esperienze più difficili e logoranti per una attività in fase di avvio. Meglio pensare, mentre il sistema bancario tenta di rinnovarsi, ad altri canali dove qualcosa si muove.
A supportare le imprese appena nate o nate da pochi mesi (start up) sono i cosiddetti business angel. Sono manager o imprenditori che amano investire personalmente in progetti di nuovi business da soli oppure organizzati in network. Spesso il business angel non investe soltanto capitali, ma anche il proprio tempo al progetto, che quindi in genere riguarda un settore che il business angel conosce bene, per esperienze lavorative presenti o passate.
Tre passaggi fondamentali per evitare di decidere di “fare impresa” solo perché non si riesce a fare altro.