Se si passa per Elm Street, l’arteria principale che taglia Manchester, New Hampshire, non si possono non notare le decine di uomini e donne – spesso ragazzi, talvolta persone più avanti con gli anni – che giacciono per terra, su cartoni o coperte. Non sono alcolisti, non sono semplici homeless. Sono persone con problemi di droga. Sono a Manchester perché Manchester è la capitale della droga nello Stato. Poco lontano, a Lawrence, c’è il centro di arrivo e distribuzione per il New England di eroina, crack e altri oppioidi. A Manchester si concentrano soprattutto i consumatori. La città ha tassi di overdose tra i più alti d’America: due morti ogni 10mila persone. A “Helping Hands”, un centro cristiano ospitato in una palazzina di mattoni rossi poco lontano dal centro, danno rifugio a quelli che cercano di battere le dipendenze. “È come una guerra. Nessuno l’ha dichiarata ma i morti, qui, sono quelli di un conflitto”, dicono.
Gli ultimi dati dalla “guerra” americana sono in effetti impressionanti. Secondi i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), ci sono stati in un anno oltre 100mila morti negli Stati Uniti per overdose. Il periodo considerato è quello che da aprile 2020 arriva ad aprile 2021, con un aumento del 28,5% rispetto all’anno precedente. L’enormità dei numeri ha costretto Joe Biden ha intervenire. “Non possiamo trascurare questa epidemia di perdite che tocca famiglie e comunità in tutto il Paese”, ha detto il presidente. Biden ricorda che nell’American Rescue Plan, il piano di aiuti post-Covid approvato a marzo, ci sono 1.500 milioni di dollari per persone con problemi di dipendenze, e altri stanno per essere stanziati “per rafforzare la prevenzione, promuovere la riduzione del danno e ridurre la fornitura di sostanze dannose”. Si pensa soprattutto ad allargare l’accesso al naloxone, un farmaco di sintesi che può bloccare gli effetti degli oppioidi, in particolare una overdose. “Nessuno dovrebbe morire in America perché non riesce a procurarsi il naloxone”, dice Rahul Gupta, che dirige l’Office of National Drug Control Policy.
Mentre il Covid-19 seminava morte, un’altra epidemia, più silenziosa ma altrettanto terribile, uccideva quindi migliaia di persone negli Stati Uniti. I morti per droga, dicono le cifre, sono stati in un anno più numerosi di quelli per incidenti stradali e armi da fuoco combinati. Dal 2015 le vittime sono raddoppiate. La fascia d’età più colpita è quella tra i 25 e i 54 anni, soprattutto maschi (il 70% delle vittime). La maggioranza dei morti, ancora una volta, è causata soprattutto dall’abuso di fentanyl, una droga cento volte più potente della morfina, spesso utilizzata in concomitanza con eroina e cocaina per esaltarne gli effetti. Ma sono aumentate anche le overdose causate da anfetamine, metanfetamine, cocaina e da altri oppioidi semi-sintetitici, spesso prescritti dai medici come antidolorifici. È un universo di sigle – Speed, Crystal, Bennie, Frisco Speed, Meth, Crank, Ice, Rock, Shabu – che ha seminato lutti un po’ ovunque. I morti sono cresciuti del 50% in California, Tennessee, Louisiana, Mississipi, West Virginia, Kentucky. In Vermont, l’aumento è addirittura dell’85%. Più contenuto, ma comunque del 40%, il rialzo delle vittime in Oregon, Nevada, Washington State, Colorado, Minnesota, Alaska, Nebraska, Virginia. Un fenomeno che un tempo appariva concentrato soprattutto negli Stati della vecchia cintura industriale, a est e nel centro, è ora diventato una tragedia nazionale.
Non sfugge che il periodo in cui le morti hanno avuto la terribile impennata sia anche quello in cui il Covid ha seminato le sue distruzioni. Gli esperti spiegano che la perdita dei posti di lavoro, la chiusura delle scuole, l’accesso molto più difficile a ospedali e centri di riabilitazione hanno approfondito dipendenze, depressioni, senso di abbandono. Le comunità si sono sfaldate, richiuse in se stesse e a pagarne le conseguenze sono stati i più deboli. Ancora i dati messi a disposizione dai CDC rivelano che la grande maggioranza delle vittime era tossicodipendente da tempo o si trovava in fase di disintossicazione. Il Covid-19, lo stress e l’isolamento che ne sono risultati, hanno quindi funzionato come acceleratore di dinamiche preesistenti. Particolarmente impressionanti sono i dati relativi al fentanyl, un oppiaceo utilizzato per l’anestesia e per il trattamento dei dolori oncologici, la cui diffusione nel mercato delle droghe illegali è diventata capillare (è spesso usato anche per tagliare partite di cocaina e altre droghe, venduto quindi all’insaputa dell’acquirente). Alla Drug Enforcement Administration, l’agenzia federale che combatte il traffico di droga, dicono di aver sequestrato quest’anno quantità tali di fentanyl da fornire ogni cittadino degli Stati Uniti di una dose letale. “E, ogni giorno, continuano i sequestri di nuove partite”, spiegano.
A parte i finanziamenti federali, a parte l’opera di repressione (gran parte della droga statunitense arriva dai cartelli messicani, che rielaborano componenti di provenienza soprattutto cinese), ci si chiede a questo punto cosa fare. Una strada possibile è sicuramente la riduzione delle ricette mediche che prescrivono antidolorifici. I medici americani ne hanno negli anni passati ampiamente abusato, tanto che, spiega un esperto dei Cdc, “si prescrivono oppiacei quando ti cresce il dente del giudizio”. L’abuso di anti-dolorifici, fin dalla più tenera età, ha portato a forme di dipendenza dalle droghe che in molti casi si sono rivelate fatali. Un’altra strada è sicuramente quella dell’accesso ai farmaci. I dottori americani hanno bisogno di un permesso delle autorità federali prima di poter prescrivere la buprenorfina, un oppioide con un’efficacia simile a quella del metadone, utilizzato per trattare le dipendenze. La norma ritarda il suo utilizzo in molti centri per la disintossicazione. Un discorso simile va fatto anche per il naloxone. Il farmaco, approvato dalla Federal and Drug Administration nel lontano 1971, può per l’appunto bloccare gli effetti degli oppioidi e quindi, in molti casi, salvare da una overdose. Il problema è che in molti Stati americani può essere somministrato soltanto da medici e personale sanitario e non viene messo a disposizione delle famiglie e di coloro che vivono a contatto con il tossicodipendente. Inutile dire che quando i medici, e il naloxone, arrivano, non c’è spesso più niente da fare. L’overdose si è portata via la persona.