Non è la solita commedia sentimentale, anzi. La peggiore persona del mondo – in sala grazie a Teodora – è un film di finissima intima brutalità sull’irreversibilità delle scelte esistenziali nella vita. Sotterraneamente brutale sì. Scorticante nelle pareti dello stomaco, anche. Mai come di fronte al lindo ordine e biancore nordico che soggiace negli interni giorno del film del norvegese Joachim Trier si rimane appesi a quelle impercettibili svolte radicali che la giovane protagonista Julie (Renate Reinsve, Palma d’oro a Cannes come miglior attrice) assume davanti ad un nuovo potenziale amore, all’idea di un figlio, alle mille possibili porticine professionali. No, ecco, Sliding doors proprio no. Semmai una specie di sinfonia inizialmente alleniana, poi un coming of age postdatato di una decina d’anni, infine un dramma bergmanianamente rabbuiato.
Un prologo, un epilogo, e dodici capitoli/frammenti a fare da struttura temporale e stilistica. Julie/Reinsve che abita il film di Trier come un’antieroina romantica: sempre pronta a fallire, imprecisa, in alcuni momenti goffa, ma sempre in modalità solare e ironica. Lei cambia lavoro (medico, psicologo, fotografia, scrittrice, libraia, e ancora fotografa). Lei sceglie con chi flirtare (tre fidanzati) poi li scarica (due di questi, anche se il “fortunato” lo fa sospirare come non so che). Lei batte il ritmo della narrazione continua degli sguardi, delle espressioni, dei dialoghi nei duetti che costellano il film, come nel mostrarsi o nello spogliarsi senza la malizia di un erotismo evidente ma mai esplicito, rimanendo perfino l’unica attrice del cast a potersi muovere in una sequenza onirica graziosa, nel centro di Oslo mentre l’intera Norvegia e tutti i norvegesi sono immobilizzati in strada, in auto, sul tram, nei negozi, e lei si sposta dall’amato per fermare il tempo e capire se un bacio con lui vale tanto per poter lasciare il proprio fidanzato (spoiler: insomma).
Non ha mai un vero baricentro drammaturgico il film di Trier, ma ha come voglia di essere impulsivamente franco, di far vivere realisticamente l’emozione sentimentale anche drastica e dolorosa di una separazione, di un’idiosincrasia, di una morte che arriva. In tanti hanno pensato ma chi è La persone peggiore al mondo del titolo? Julie? Oppure il coprotagonista, secondo fidanzato, 46enne, autore di popolari graphic novel norvegesi, che nel desiderio di liberarsi di angosce personali con la sua arte finisce nel tritatutto del postfemminismo contemporaneo? Difficile capirlo. Ma nemmeno necessario. Il film di Trier sembra svolazzare leggiadro nella futilità del cicaleccio tra partner, poi si ritrova improvvisamente e duramente sprofondato nelle ferite che un essere umano può arrecare senza capire, senza volere, all’altro. Sorprendente, davvero. Anche se la performance della Reinsve luccica di una forse trascurata copresenza dei suoi due robusti comprimari: il bonario Elvind (Herbert Nordrum) e il tormentato Aksel (lo strepitoso Anders Danielsen Lie).