Politica

Open, alla Leopolda Renzi parla più di un’ora: attacchi al Fatto, a Bersani e ai pm. Non chiarisce sulla Bestia social e sulla “darkroom”

All'evento di Firenze l'ex premier non è entrato nel merito delle accuse che la procura contesta a lui e ai suoi fedelissimi, ma ha cercato di smentire che la fondazione si muovesse come un'articolazione della corrente renziana dentro al Pd. "La corrente dei renziani nel Pd non esisteva", ha sostenuto. E la mail di Rondolino sulle“rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica” di avversari politici e dei giornalisti del Fatto? "Noi non abbiamo costruito una macchina del fango, ma abbiamo subito la macchina del fango", sostiene il leader d'Italia viva

Un discorso lungo un’ora e mezza per attaccare i pm della procura di Firenze che lo indagano e sostenere che la fondazione Open non era un’articolazione del partito. La “Bestia social” che faceva propaganda per lui? La “darkroom” che aveva creato”600 fakes”? La struttura di “propaganda antigrillina” proposta da Fabrizio Rondolino? “Noi non abbiamo costruito una macchina del fango ma l’abbiamo subita”. L’atteso intervento di Matteo Renzi alla Leopolda sull’inchiesta che lo vede coinvolto si è risolto con una lungo riassunto dei suoi ultimi interventi sul tema. Conditi anche con una singolare rassegna stampa: proiettate sul maxi schermo finiscono anche alcune prime pagine del Fatto Quotidiano. Per quale motivo il leader d’Italia viva decide di puntare l’indice contro un determinato giornale? “Siccome in questo Paese negli ultimi anni c’è stata anche la pandemia con 150 mila morti e con una serie di appalti sotto inchiesta per più di un miliardo di euro, vorrei che ci fosse anche un articolo ogni cento su Open su perché non vogliono fare una commissione di inchiesta sugli appalti covid”, sostiene.

La questione dell’articolazione di partito – L’ex capo del governo non è mai entrato nel merito delle accuse che la procura di Firenze pone a lui e ad altri esponenti di primo piano del Giglio magico: nessuna citazione, per esempio, per la presunta corruzione contestata a Luca Lotti da parte di colossi come British american tobacco o il gruppo Toto. Renzi, invece, ha attaccato più volte quella che è la base della ricostruzione dell’accusa nella vicenda della fondazione che pagava i conti della Leopolda. Secondo i pm, infatti, il fatto che Open finanziasse tutta una serie di attività legate all’attività politica dell’ex segretario del Pd e dei suoi fedelissimi – dal mezzo milione di rimborsi diretti erogati all’ex premier fino alla campagna elettorale per il referendum costituzionale e poi ai conti della struttura che doveva fare propaganda sui social alle primarie del Pd del 2017 e alle politiche del 2018 – vuol dire che la fondazione si muoveva in realtà come l’articolazione di una corrente di partito, segnatamente la corrente renziana del Pd. Se si muoveva come un’articolazione di partito, è il ragionamento dell’accusa, doveva rispettare gli stessi obblighi di trasparenza imposti ai partiti. Ecco perché Renzi ha usato gran parte del suo intervento per cercare di confutare questo passaggio. “Il tema del contendere non è il finanziamento illecito – ha detto – Il tema è il finanziamento illecito alla politica. Questi denari tracciati sono andati a una fondazione. Ma secondo il pm faceva finta di essere una fondazione ma era un partito. E quindi vogliono fare un superprocesso che manco la retate mafiose”.

“Non esisteva la corrente renziana nel Pd” – Notoriamente leader dei renziani dentro al Pd, prima di guidare la scissione che ha portato alla nascita di Italia viva, l’ex premier nega di aver mai guidato una corrente: “Io ho sempre detto che non farò mai una corrente dentro un partito, piuttosto faccio un partito e restituisco la tessera: fatto. E ora mi accusano di voler fare una corrente”. E ancora:” I magistrati pensano che le correnti funzionino come in magistratura. Se lo facessimo noi prenderemmo avvisi di garanzia per traffico di influenza. La corrente dei renziani nel Pd non esisteva, ma se si vuol trovare un rapporto fra il contributo e la corrente, i due capi, uno del partito uno nel governo, erano Lorenzo Guerini e Paolo Gentiloni, che non avevano alcun rapporto economico con Open”. Poi l’ex premier ha tentato di buttare la palla sulla tribuna dei rapporti tra politica e magistratura: “Nei paesi democratici le forme della politica le decide il Parlamento e non i magistrati. Perché se è il giudice penale a decidere cosa è un partito e cosa no, la libertà democratica è a rischio“.

“Abbiamo subito la macchina del fango”. Ma non parla della dark room – E l’ormai nota mail in cui Rondolino proponeva di creare una struttura di propaganda, con tanto di investigatore privato per diffondere notizie, indiscrezioni, “rivelazioni mirate a distruggere la reputazione e l’immagine pubblica” di avversari politici dei 5 stelle e giornalisti del Fatto Quotidiano? E la “darkroom” di cui parlava il suo amico Marco Carrai, in una chat con Alberto Bianchi? L’imprenditore sosteneva che “in una settimana hanno fatto 600 fakes”. Cos’erano quei fakes? La struttura di propaganda renziana usava account fasulli sui social? Su questo Renzi si è limitato a ripetere quanto sostenuto qualche giorno fa: “Noi non abbiamo costruito una macchina del fango, ma abbiamo subito la macchina del fango. Ero oggetto di fake news tutti i giorni. Noi eravamo vittime della Bestia di Morisi e di Casalino, vittime di disinformazione sociale. Open era una fondazione, non un partito politico e la Leopolda era luogo per proposte e non c’è niente di male a ritrovarsi”. Non si capisce, dunque, cosa fosse e a cosa servisse la “darkroom” citata da Carrai.

Gli attacchi a Bersani – E ancora, visto che Rondolino proponeva di creare una struttura di propaganda antigrillina, l’ex segretario del Pd ha aggiunto: “Volevo distruggere i 5 Stelle? Il mio vero reato è non esserci riuscito, intendo a distruggerli politicamente, Ma ci stanno pensando da soli, si stanno autodistruggendo con lo scontro sotterraneo tra Conte e Di Maio”. Quindi ha attaccato ancora Pierluigi Bersani perché “ha ricevuto soldi dai Riva, che sarebbero potuti servire per la difesa dell’ambiente, invece hanno finanziato la campagna elettorale di Bersani, che deve avere il coraggio di dire che lui a Taranto ha preso i soldi dell’Ilva e io ho rimesso a posto la città martoriata”. Attacchi anche a Massimo D’Alema (“Ha distrutto Mps che nemmeno la peste”) e poi sempre ai 5 stelle per i presunti rapporti col Venezuela.

Gli attacchi ai pm – Particolarmente lungo il paragrafo dedicato agli attacchi ai magistrati che lo indagano. “Io non ho violato leggi, non ho rubato un centesimo. Spero che gli altri, a partire dagli inquirenti, non lo abbiano fatto. Io penso che abbiano violato la Costituzione”, ha detto Renzi, accusando i pm di aver tenuto “un atteggiamento populista. Siccome non hanno trovato niente fanno la pesca a strascico, che è un atto gravissimo. Non basta invadere il terreno della politica, ma serve anche una invasione di campo nella sfera personale, quindi i pm fiorentini vanno a prendere telefonini e computer a 40 non indagati, ma che hanno dato soldi alla Leopolda“. Poi è tornato a lamentarsi del fatto che agli atti sia stato acquisito il suo conto corrente, sostenendo che “in termine tecnico si chiama sputtamento mediatico“.

Le toghe rosse – Quindi è tornato ad attaccare, senza citarlo direttamente, Nello Rossi, direttore della rivista di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra delle toghe: “Ha scritto che intorno a Renzi va stretto un cordone sanitario: intorno a un senatore non si stringono cordoni sanitari, ma se uno lo fa su una rivista di una corrente della magistratura è una cosa enorme”. Un argomento che il leader d’Italia viva ha agitato contro l’aggiunto Luca Turco, che coordina l’inchiesta su Open: “Quando saremo giudicati – ha proseguito – potremo chiedere se il magistrato appartiene a Magistratura Democratica? Potrà venirmi il dubbio che sto in un cordone sanitario?”. Poi sempre sulla vicenda Open, il leader d’Italia viva ha annunciato che chiederà “di parlare a ogni udienza“. Al momento, però, non è arrivata neanche la richiesta di rinvio a giudizio. In coda una lamentela indirizzata verso il suo ex partito, il Pd. “E incomprensibilmente il partito più renitente nell’offrire solidarietà” sulla vicenda. Citazione a parte per Irene Tinagli,vicesegretaria dem: “Da me non aveva avuto nulla, ma è l’unica a darmi solidarietà”.