Ha improvvisato un flash mob martedì 16 novembre davanti al Tribunale di Arezzo impugnando una stampa fotografica del padre morto sovrastata dalla scritta #GiustiziaperLeonardoQuinti. Poco dopo Lalla Quinti ha pubblicato in rete il suo appello rivolto alla Procura di Arezzo: “Chiedo solo verità e giustizia per mio padre – ha scritto Quinti – . Da quel 24 maggio 2016 in cui è morto sul lavoro, al dolore immane per la sua perdita, si è sommato anche il peso dell’ingiustizia e dell’indifferenza. Da cinque anni chiediamo alla Procura di Arezzo di leggere semplicemente le carte e da cinque anni ci sentiamo rispondere che il caso è chiuso”.

Leonardo Quinti era un artigiano 73enne molto noto nel territorio, deceduto in circostanze misteriose durante un sopralluogo di lavoro nella Tenuta Vitereta di Laterina. Dopo un tempo imprecisato dal suo arrivo Quinti, esperto in manutenzione dei pluviali, fu trovato riverso a terra da un’impiegata della società che gestiva la tenuta, nei pressi di una scala di proprietà di quest’ultima, rimasta appoggiata ad un muro. L’artigiano non fu oggetto di operazioni di primo soccorso né ricevette tentativi di rianimazione dalla medica arrivata sul posto circa venti minuti dopo la chiamata al 118. La stessa medica constatò il decesso attribuendolo a “cause naturali, dovuto a caduta da oltre tre metri di altezza – trauma cranio facciale”. Nonostante la morte violenta dovuta a incidente sul lavoro, sul corpo di Leonardo Quinti non fu però disposto alcun accertamento medico legale e fu reso alla famiglia un giorno prima dei termini di legge per la consegna, favorendo il rapido seppellimento.

Il Giudice per le indagini preliminari ha archiviato il caso il 30 gennaio 2017 su richiesta della Procura di Arezzo che aveva chiuso così la propria indagine “contro ignoti” nonostante la relazione degli ispettori ASL avesse puntualizzato a carico di un noto datore di lavoro sia la non conformità della scala alle norme di sicurezza, sia l’assenza nell’azienda del Duvri, il “documento di valutazione dei rischi da interferenze” necessario per i casi di lavori in appalto come quello dell’artigiano Leonardo Quinti. “Abbiamo saputo dell’archiviazione quasi un anno dopo – spiega Lalla Quinti a Ilfattoquotidiano.it – e solo perché abbiamo messo un avvocato, nessuno ci ha avvisato. All’inizio non pensavamo di aver bisogno di tutela legale, ci fidavamo dello Stato, ora siamo alla terza istanza di riapertura, negata”.

L’ultima richiesta di riaprire le indagini avanzata dalla famiglia Quinti porta la firma della avvocata Alessandra Guarini, nota penalista che ha assistito le parti civili nel processo per la strage di Viareggio e per il crollo della torre dei piloti di Genova. “Abbiamo portato alla Procura una relazione dettagliata con due consulenze – precisa Quinti a ilfattoquotidiano.it – una medico legale e una tecnica sulla dinamica. Abbiamo chiesto accertamenti sui tempi e sulle telefonate che mio padre ha effettuato fino a venti minuti dalla chiamata al 118 partita dall’impiegata. Ma la Procura ci ha risposto con dieci righe scritte a mano che le cause della morte sono state già accertate”.

Nella richiesta di archiviazione la magistratura aretina ha ricondotto tutta la responsabilità dell’accaduto all’artigiano “l’utilizzo della scala è stata una iniziativa autonoma dell’infortunato” ha scritto la Procura. Ma la famiglia Quinti contesta la ricostruzione. “Quella scala era nelle disponibilità dei lavoratori della tenuta – spiega Lalla Quinti a Ilfattoquotidiano.it – lo scrivono gli Ispettori della Asl nella loro relazione”. Una violazione del testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.lgs 81/2008) per la quale la proprietà della Tenuta è stata in effetti sanzionata, con tanto di segnalazione della notizia di reato alla procura di Arezzo. Segnalazione senza tuttavia alcuna conseguenza per l’indagine sulla morte di Leonardo Quinti. Almeno finora.

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