La scuola dell’inclusione per tutti e della continuità didattica continua ad essere una chimera. Ad essere colpiti sono soprattutto migliaia di alunni con disabilità (Miur: 278mila studenti disabili iscritti all’anno scolastico 2021-2022). Ci sono ancora troppi casi dove mancano gli insegnanti di sostegno specializzati, gli educatori e gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione. Le ore di sostegno sono insufficienti rispetto al bisogno dello studente disabile e si verificano situazioni in cui un docente sul sostegno deve seguire nello stesso momento più di un ragazzo con gravi fragilità. Ilfattoquotidiano.it, a distanza di quasi due mesi dall’inizio delle lezioni, ha raccolto quattro testimonianze di famiglie che vivono in città differenti e che evidenziano le tante e diverse criticità che subiscono i loro figli.
MILANO, “Antony è senza insegnante di sostegno né educatore. Lui ha forti disturbi del comportamento e autolesionismo: abbiamo paura che si creino situazioni di pericolo per lui e i compagni” – Secondo quanto stabilito dal suo Piano educativo individualizzato (Pei) redatto per gli alunni con disabilità avrebbe diritto ad avere 12 ore di sostegno settimanali ma dal primo giorno di scuola non ha trovato nessun docente ad assisterlo. Antony ha 10 anni e frequenta la quinta elementare di una scuola paritaria a Milano. Il bambino ha forti disturbi ADHD (deficit di attenzione, iperattività, impulsività, autolesionismo). Il compagno della madre, Johnny Urrutia, è molto preoccupato della situazione: “L’anno scorso aveva almeno un docente di sostegno peraltro non specializzato, quest’anno non ha proprio nessuno che lo affianchi”, dice al Fatto.it. “Abbiamo anche chiesto al dirigente scolastico di intervenire il prima possibile ma non ci ha risposto. Inoltre l’altra cosa grave – sottolinea – è che non abbiamo mai visto un programma strutturato, una strategia efficace che coinvolga maestri e compagni per confrontarsi con un bambino come Antony. In questo modo l’inclusione non esiste”. Il problema di Antony si aggrava perché dovrebbe essere seguito anche per l’assistenza domiciliare e fare dei trattamenti psicologici fondamentali per cercare di attutire le sue crisi. “Purtroppo siamo lasciati soli anche dai servizi sociali: dopo un anno e mezzo e 10 e-mail inviate di sollecitazione per iniziare percorsi assistenziali e interventi di sostegno psicologico non è cambiato nulla”. A scuola Antony non ha neanche un educatore per gestire i rapporti tra lui e i compagni. “Questi problemi vengono affrontati in senso superficiale, non c’è la corretta attenzione al tema del sostegno, siamo ignorati”, dice Urrutia. “Ci sentiamo abbandonati. Anche gli educatori che l’anno scorso mandavano per seguire Antony non avevano una formazione specifica e quest’anno registriamo la totale assenza di educatori. Stiamo formando un bambino che quando crescerà potrebbe manifestare dei problemi gravi di socializzazione e non solo, bisognerebbe gestirlo ora per tempo e la scuola dovrebbe essere uno degli strumenti principali. Quello che mi indigna di più è l’indifferenza delle istituzioni che dovrebbero esistere per aiutare bambini come Antony”, conclude Urrutia.
Ravenna, “continuità didattica? In tre anni di superiori mio figlio ha cambiato venti supplenti e sempre senza nessuna specializzazione sul sostegno” – Il primo giorno di scuola, dicono, non si scorda mai. Di sicuro Matteo, 17 anni, con una disabilità intellettiva grave e una marcata disabilità sensoriale visiva (ipovedente), non se lo dimenticherà. Frequenta la terza superiore di un Istituto Professionale indirizzo socio-sanitario e “quando è entrato in classe non gli hanno fatto trovare neanche il banco e la sedia. Cosi è andato in un’aula a parte da solo con la sua docente di sostegno, neanche specializzata”. A denunciarlo è la madre Valentina Formisano. Vivono a Lugo, in provincia di Ravenna. Formisano spiega che la copertura delle ore di sostegno è congrua rispetto al Pei del ragazzo che prevede 18 ore settimanali (9 ore con un docente + 9 ore con un altro) e beneficia di ulteriori 12 ore con l’educatore. “Almeno le ore di sostegno sono rispettate ma i docenti che ci hanno mandato non sono idonei per gestire un ragazzo con tutti i suoi bisogni”, commenta la madre. Da quando Matteo ha iniziato a frequentare la scuola superiore non ha mai avuto continuità didattica. “In tre anni abbiamo cambiato 20 supplenti sul sostegno – continua – ma nessuno che fosse specializzato. Vedo gli altri genitori giustamente contenti che i loro figli riprendono l’anno scolastico ma invece noi viviamo questa fase ogni volta come un’Odissea con tante incognite e criticità che continuano a ripetersi”. Passano gli anni ma i problemi restano. “Matteo ha voglia di imparare e sperimentare ma non viene sostenuto a sufficienza dai docenti assegnati. E’ in quella scuola ormai da 3 anni – racconta la madre – e la referente per gli alunni con Bisogni educativi speciali (Bes) è la stessa. I documenti che forniamo per seguire buone pratiche non vengono presi neanche in considerazione, non seguono un piano educativo adeguato”. In questo modo il rapporto famiglia-scuola si sfilaccia. “Abbiamo scoperto che spesso mio figlio resta in classe solo con un’educatrice per due ragazzi con differenti disabilità e non siamo mai stati avvisati dagli insegnanti. Cosi la fiducia tra famiglia e corpo docente viene meno”. Oltre alle tante difficoltà riscontrate in classe ci sono anche quelle legate al trasporto scolastico per gli alunni disabili. “Di battaglie per ottenere il trasporto ne ho fatte molte – racconta Formisano -. Il primo anno di Matteo alle superiori non c’era un trasporto comunale idoneo per andare a scuola, adesso dopo anni di lotte ci sono 12 ragazzi che utilizzano il servizio con 2 pulmini, uno per l’ingresso a scuola alle ore 8 e un altro per le 9, e c’è anche il sabato . Ogni tanto però succede che manca l’accompagnatore per mio figlio sul pulmino (durata del passaggio è di circa 40 minuti). Tutti gli anni siamo costretti a lottare per vedere garantiti i nostri diritti”.
Napoli, “denuncio la mancanza di collaborazione scuola-famiglia da cui non si può prescindere per aiutare i bambini con disabilità a raggiungere gli obiettivi in funzione delle proprie potenzialità” – Laura abita a Cercola, provincia di Napoli e ha una figlia con disabilità intellettiva di 9 anni che frequenta la quarta elementare. L’anno scorso ha ricevuto una docente sul sostegno ma le cose non sono andate come sperava. Ora che la docente è stata confermata le criticità sono addirittura esplose per “una mancanza totale di collaborazione”, sostiene Laura. “L’anno scorso ho pensato di esser stata fortunata perché finalmente avevano assegnato per 22 ore di sostegno una docente titolata presente fin dal primo giorno, gli altri anni non era mai successo”. Invece poi con tale assegnazione è iniziato un periodo difficilissimo. “I problemi con l’insegnante di sostegno, di sicuro accentuati dal Covid, sono cominciati presto. Ho cercato di instaurare un clima di collaborazione ma non è servito”. Fin dalle prime difficoltà della bimba, come famiglia hanno cercato di costruire una rete di specialisti che si confrontassero e collaborassero per aiutarla. Quest’anno Laura ha chiesto di adeguare il Pei della figlia alle sue reali capacità. “Per aiutare mia figlia ho frequentato anche numerosi corsi e seminari on-line sulle problematiche legate ai deficit di apprendimento e alla disabilità intellettiva”. Esasperata, non sapendo più come dimostrare che sua figlia, nonostante avesse le potenzialità, non apprendeva a scuola, ha portato la bimba presso un’associazione che si occupa di disturbi dell’apprendimento. Dalla valutazione è emerso che la bambina si colloca in una fascia prestazionale inferiore alla media normativa, ma che è capace di recepire ed eseguire un compito se indirizzata in maniera corretta. “Da aprile mia figlia – racconta Laura – ha iniziato un percorso a pagamento presso questa associazione due volte al mese. I miglioramenti ci sono, mi domando perché la scuola non debba collaborare per il bene della bambina?”. Durante un incontro scuola-famiglia avvenuto a fine settembre, è stato proposto di definire un piano da condividere con le professioniste dell’associazione. L’insegnante di sostegno ha acconsentito a tale richiesta precisando che la famiglia non deve presenziare però all’incontro sul piano, ma potrà visionarlo a cose fatte. “Questo non dovrebbe accadere perché la scuola deve tener presente in primis il progetto di vita di un bambino con disabilità e collaborare insieme ai genitori”. Per legge la programmazione è un’azione congiunta tra la famiglia del bambino, la scuola e gli eventuali professionisti chiamati in aiuto dai genitori. “Pertanto – termina Laura – non possiamo essere estromessi dalla vita scolastica di nostra figlia, non siamo un utente passivo, bensì dobbiamo essere informati sulle problematiche riscontrate, così da poter intervenire in tempo utile”.
Torino, “mio figlio con autismo nella stessa classe con altri cinque compagni con Bisogni educativi speciali (Bes) e Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) che però sono senza sostegno” – Ha solo un sesto delle ore che dovrebbe avere di sostegno e quando si assenta l’insegnante non c’è mai la supplente, cosi rimane sempre “scoperto”. A raccontare questa storia è Francesca, mamma di un ragazzo di 17 anni, autistico ad alto funzionamento di Torino. Il ragazzo frequenta il quinto anno di un Istituto tecnico agrario e nella sua classe sono concentrati altri cinque compagni con Bisogni educativi speciali (Bes) e Disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) però tutti senza sostegno. “Per fortuna l’insegnante di sostegno conosce bene mio figlio e sa come interfacciarsi. Altro che continuità didattica, qui viviamo un continuo caos”. Su 32 ore di frequenza come tutti, il ragazzo avrebbe diritto a 18 ore di sostegno (9 ore con un docente + 9 ore con un altro) oltre a 3 ore di educatore. Ma dei due docenti di sostegno ne è stato confermato uno e solo per 3 ore su 9. “Senza insegnante di sostegno mio figlio non ha mai portato a casa un compito in 2 settimane, vi sembra corretto? E’ evidente che cosi non viene seguito, abbandonato e nemmeno un compagno di classe lo aiuta. Questo è molto triste e dovrebbe far capire il menefreghismo anche degli professori di ruolo”. Il ragazzo segue un programma differenziato come stabilito dal suo Pei, cosa che la famiglia però non ha condiviso, cosi alla fine delle superiori non otterrà il diploma ma gli verrà rilasciato un attestato di frequenza. “Siamo dispiaciuti per questo perché potevano almeno fargli seguire gli obiettivi minimi del programma. Trovo che la scuola per questi ragazzi fragili deve essere completamente diversa, dovrebbe servire per insegnare gli approcci alla vita, a rapportarsi con gli altri, come si compila un bollettino, insegnare loro cose pratiche basilari piuttosto che nozioni scolastiche che poi nella vita servono a poco”. Francesca si rifiuta di parlare di “scuole differenziate perché sarebbe come tornare a decenni fa. La politica parla tanto di inclusione ma poi nei fatti si realizza poco o nulla. Si dovrebbe lavorare molto di più sulle relazioni sociali all’interno del gruppo classe” afferma. Francesca, infine, racconta di aver anche predisposto un progetto dell’Associazione Nazionale Genitori Persone con Autismo (ANGSA) di Torino che si chiama “Superiamoci” che serve a spiegare alla classe che cos’è l’autismo: “ma non è servito a niente perché ci hanno ignorato”, denuncia al Fatto.it, “il progetto prevedeva la formazione anche degli insegnanti che avrebbero dovuto fare degli incontri con i genitori dei compagni di classe ma non è stato fatto nulla. Su di noi è caduto il silenzio e l’indifferenza”.