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Adele: “Ho perso 45 chili in palestra per combattere attacchi di panico”. L’esperto: “Da non confondere con le crisi d’ansia, non è solo stress”

Spesso i termini attacchi di panico e ansia sono utilizzati in modo intercambiabile. In realtà si tratta di due situazioni con evidenti differenze, anche perché “l’ansia è un’emozione assolutamente normale, che tutti noi sperimentiamo più o meno in particolari momenti della nostra vita, e che ha una sua importante funzione adattiva. Non tutte le cosiddette crisi d’ansia sono quindi qualcosa di ‘patologico’ o di cui preoccuparsi”, spiega il dottor Gabriele Melli, Direttore Istituto IPSICO di Firenze e Segretario Nazionale di CBT-Italia, Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale

di Ennio Battista

La cantante britannica Adele, reduce dal divorzio, ha dichiarato di essere assalita da forti sensi di colpa. Soffre di attacchi di panico e, per reagire, si è tuffata in pratiche di fitness quotidiano (“ho perso 45 chili in palestra per combattere attacchi di panico”, ha detto da Oprah Winfrey). Spesso i termini attacchi di panico e ansia sono utilizzati in modo intercambiabile. In realtà si tratta di due situazioni con evidenti differenze, anche perché “l’ansia è un’emozione assolutamente normale, che tutti noi sperimentiamo più o meno in particolari momenti della nostra vita, e che ha una sua importante funzione adattiva. Non tutte le cosiddette crisi d’ansia sono quindi qualcosa di ‘patologico’ o di cui preoccuparsi”, spiega il dottor Gabriele Melli, Direttore Istituto IPSICO di Firenze e Segretario Nazionale di CBT-Italia, Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.

“Diverso è il caso dell’attacco di panico, che non è semplicemente un momento di ansia intenso, ma un fenomeno percepito come incontrollabile, ‘devastante’. Un insieme di stati emotivi molto intensi e sensazioni fisiche estreme e insolite (cuore impazzito, tremori, senso di svenimento, testa annebbiata, ecc.) che allarmano la persona, soprattutto quando si presentano le prime volte. Molti infatti non sapendo di trovarsi di fronte a un attacco di panico richiedono interventi medici d’urgenza, convinti di avere un infarto o un ictus in corso, oppure di star impazzendo e perdendo il controllo. L’attacco di panico è un’esperienza terribile, talvolta proprio traumatica, tanto che chi lo sperimenta anche solo una volta vive poi col terrore che questo si ripresenti nel momento meno opportuno. Ne consegue quasi sempre la cosiddetta agorafobia: la tendenza a evitare tutte quelle situazioni dalle quali non sarebbe facile allontanarsi velocemente, se l’attacco dovesse presentarsi, o in cui sarebbe difficili ottenere aiuto. Luoghi affollati (come stadi, concerti, mercati, centri commerciali, ecc.), ristretti (es., treni, aerei, navi, autobus, ecc.) o dispersivi (come grandi piazze, boschi, montagne, e cosi via) possono diventare difficili da frequentare, soprattutto se da soli. In alcuni casi anche stare in casa propria senza compagnia può essere un problema. Il panico, insomma, o meglio la paura di sperimentarlo, si trasforma in una gabbia sempre più stretta impattando notevolmente sulla qualità di vita e sull’indipendenza della persona”.

L’attacco di panico è l’espressione più eclatante di un accumulo di tensioni e disagi?
“Non necessariamente. È vero che un accumulo di stress e tensione nervosa può essere, e spesso è, il fattore scatenante del primo attacco di panico, ma talvolta possono entrare in gioco aspetti organici, come l’ipertiroidismo, la pressione bassa, le difficoltà digestive e le ernie iatali – solo per citarne alcuni – o ambientali, come il caldo afoso, l’illuminazione artificiale, la scarsa ossigenazione nei luoghi chiusi e così via. Questi fattori sono responsabili delle improvvise sensazioni fisiche alterate, già menzionate sopra, delle quali la persona si spaventa molto. Lo spavento, a sua volta, amplifica le sensazioni e ne crea altre strettamente collegate all’emozione di ansia, innescando un circolo vizioso che porta fino all’attacco di panico vero e proprio. In persone predisposte, quindi, gli attacchi si possono scatenare in modo inaspettato e apparentemente non giustificabile da specifici fattori di stress, ma poi diventano essi stessi un grosso stress, per la paura che si presentino e per le limitazioni descritte prima”.

Quanto è diffuso questo fenomeno?
“Se l’ansia, anche forte, è un fenomeno universale e normale, il vero e proprio disturbo di panico, quello che richiede attenzione clinica e che implica la presenza di ripetuti attacchi e la paura che questi si presentino, riguarda almeno il 2-3% della popolazione. Un dato in costante aumento, forse perché chi ne soffre non si vergogna come un tempo a parlarne sia con i professionisti che con amici e parenti. O addirittura pubblicamente, come ha fatto Adele. Ben vengano queste aperture da parte di personaggi pubblici, perché non c’è niente di peggio che avere un problema come questo, ben conosciuto e anche curabile nella stragrande maggioranza dei casi, e mantenerlo segreto, senza chiedere aiuto”.

Ci sono segnali premonitori che possono portare a una crisi di panico?
“Per definizione l’attacco di panico è inaspettato e imprevedibile, quindi non è detto che ci siano questi segnali. Anzi, quello che spesso accade è che chi ne ha sofferto, anche solo una volta, monitori ogni sensazione corporea e tenda a interpretarla come un imminente attacco, allarmandosi eccessivamente anche per innocue alterazioni somatiche, come un semplice giramento di testa. Non è quindi utile preoccuparsi dei segnali premonitori, bensì occorre arrivare a considerare le crisi di panico come qualcosa di sgradito ma non pericoloso, da accettare qualora dovessero presentarsi, limitandosi ad aspettare che passino, come un brutto mal di testa”.

Quali approcci psicoterapici possono essere indicati? A quali altre strategie si possono affiancare?
“La psicoterapia è indubbiamente la strategia principale per affrontare il disturbo da attacchi di panico e la conseguente agorafobia. L’approccio che si è dimostrato più efficace, in numerosissimi studi scientifici, è quello cognitivo-comportamentale, che può dare risultati in tempi relativamente brevi e che concentra il lavoro primariamente sul problema presentato. Una buona notizia è che non servono anni di analisi e ricerche infinite sulle presunte cause del fenomeno, ma soprattutto strategie utili e funzionali ad affrontare il problema e liberarsi dalla trappola dell’ansia. Indubbiamente possono essere utili ausili, anche se non risolutivi di per sé, l’attività fisica intensa (che invece di solito viene evitata di chi soffre di attacchi di panico), nonché le tecniche di rilassamento come il training autogeno o il Jacobson, e soprattutto la meditazione mindfulness. Così come è controproducente l’evitamento di tutte quelle situazioni, compreso il riposo, in cui si teme possa presentarsi l’attacco, perché sono tutti elementi che a lungo termine mantengono e peggiorano il problema”.

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