Una indennità pari a 45 giorni di salario per ogni anno di lavoro è quello che rimane ai 3870 rider spagnoli di Deliveroo. La società britannica, una delle più solide nella consegna di cibo a domicilio, lascia la Spagna, così tra le strade di Madrid e Barcellona non vedremo più divincolarsi nel traffico i rider con in spalla i borsoni azzurro-turchese della compagnia.

Il settore non è mai stato in affanno, tutt’altro, la pandemia ha generato ulteriore crescita valorizzando anche la funzione sociale del servizio di consegna di beni a domicilio in un periodo segnato da forti restrizioni. La compagnia inglese ha giustificato la drastica scelta con l’aumento esponenziale della concorrenza, fattore che ha reso difficile l’obiettivo di imporsi come leader di settore, operazione invece riuscita in altre piazze.

Non basta realizzare un utile, occorre essere azienda leader. Sarà pur vero, ma molti analisti hanno letto la decisione aziendale con altra lente. Il governo a guida socialista di recente ha approvato la “Ley de riders”, provvedimento che fa della Spagna uno dei primi paesi d’Europa a regolamentare il lavoro precario per eccellenza. La legge segna il passaggio dei rider da un artificioso lavoro autonomo ad un rapporto di chiara natura subordinata, recependo di fatto le sentenze della sezione lavoro della Suprema Corte di Madrid. E fa di più: introduce innovative soluzioni legislative per affrontare il rapporto tra lavoratore e piattaforme tecnologiche, tra dipendente ed algoritmo.

Nelle relazioni lavorative entrano le formule matematiche, con le imprese chiamate a spiegare ai propri impiegati il funzionamento degli algoritmi utilizzati. La Ministra del lavoro Yolanda Díaz – leader galiziana di Esquerda Unida e promotrice della legge – si è spinta oltre. L’esecutivo intende creare un Comitato di esperti per studiare il buon uso dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi nei rapporti di lavoro.

L’Italia è indietro sulla questione, i rider divennero bandiera di Luigi Di Maio, allora titolare del Dicastero del lavoro, ma il ministro pentastellato ammainò subito il vessillo di fronte alla pressione della lobby delle società di consegna a domicilio. Così l’urgenza di regolamentare per riconoscere diritti fu subito “degradata” a necessità di approfondimenti ulteriori, mai compiuti.
Eppure la Spagna dimostra che il ‘ricatto occupazionale’ non è sempre un’arma, Deliveroo, secondo la testata digitale Libre Mercado, è scacciata dal mercato iberico da un provvedimento rigoroso che pone troppi paletti.

Le leggi vengono interpretate, non solo dai giudici. Just Eat si dice pronta a collaborare nella stesura di un Contratto collettivo, la spagnola Glovo studia come “bordear la ley”, l’antica arte di aggirare le norme, inquadrando quindi solo una parte dell’organico e lasciando oltre 10mila lavoratori come autonomi. Per loro sarà ancora l’algoritmo la guida, col riconoscimento di minime facoltà, quali l’accettazione o meno di prendere un ordine, libertà nella determinazione di parte delle tariffe, possibilità di ricorrere al subcontratto. Misure che fanno storcere il naso a più di un giurista visto che la Suprema Corte individua i poteri direttivi nel controllo effettivo degli strumenti digitali, l’“algorithmic power” lo potremmo definire.

Intanto un altro colosso della distribuzione a domicilio è già in arrivo, dichiaratosi pronto a recepire i nuovi obblighi legislativi sulla subordinazione del rapporto. E’ la compagnia turca Getir, operativa in più di 40 città ottomane e con radici piantate nelle principali città europee. Ora approda nelle metropoli spagnole per distribuire in pochi attimi cibo e – a seguito dell’acquisizione di Blok, startup di Barcellona che punta sui dark store (i negozi invisibili di vicinato) – anche la tipica spesa dei supermercati. Servizi rapidi e diritti, con corsi formativi per i “repartidores”, bici elettriche, borsoni fissati al veicolo e non più in spalla. Insomma, flessibilità ma anche diritti.

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