A fine luglio scorso il presidente della fondazione renziana ha chiesto di chiudere un occhio in merito a un trasferimento di soldi dal suo conto corrente a quello del fratello. "Appare plausibile ritenere che l'intento del legale possa essere stato di carattere, almeno vagamente, intimidatorio, al fine di ingenerare nell'interlocutore la consapevolezza di poter essere individuato quale responsabile dell'avvio dell'iter di segnalazione e delle eventuali ulteriori conseguenze per lui dannose" si legge nella motivazione della pratica. Il fratello di Bianchi è completamente estraneo all'inchiesta e il legale fiorentino non è indagato per riciclaggio nell'indagine sulla cassaforte renziana
“Appare plausibile ritenere che l’intento del legale possa essere stato di carattere, almeno vagamente, intimidatorio, al fine di ingenerare nell’interlocutore la consapevolezza di poter essere individuato quale responsabile dell’avvio dell’iter di segnalazione e delle eventuali ulteriori conseguenze per lui dannose”. Tra le segnalazioni di operazioni bancarie sospette (sos) che popolano l’inchiesta sulla Fondazione Open, ce n’è una che riguarda l’avvocato Alberto Bianchi, presidente della cassaforte renziana. È stata acquisita dall’Uif (Unità di informazione finanziaria) l’11 agosto 2020 e da questa trasmessa al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di finanza, che la acquisisce il successivo 15 settembre. Si parla di riciclaggio con rischio medio alto, almeno stando a quanto si legge dai documenti agli atti dell’inchiesta. Non è dato sapere quale esito abbia avuto la segnalazione: di sicuro nell’inchiesta su Open, la Procura di Firenze non contesta il riciclaggio al legale fiorentino. I fatti raccontati invece sono molto chiari.
È la fine di luglio 2020, l’indagine della Procura di Firenze su Open non è ancora stata chiusa, l’avvocato Alberto Bianchi si presenta in una filiale di Banca Intesa e chiede di effettuare un trasferimento di denaro in favore del fratello Francesco Bianchi (estraneo all’inchiesta) per motivi definitivi “personali”. E fin qui nulla di strano. Ciò che succede dopo, invece, è irrituale. Il legale fiorentino, infatti, dice a chi sta gestendo la sua pratica “di non volere che, in relazione a tale operatività, la banca effettuasse una segnalazione di operazioni sospette poiché, sempre secondo quanto riportato, egli affermava che proprio dall’esercizio di tale adempimento da parte della scrivente e di Banca di Cambiano erano derivati gli attuali procedimenti penali a suo carico”. Insomma, il presidente della Fondazione chiede di chiudere un occhio su quel trasferimento di denaro. La banca rifiuta di far finta di nulla (anche perché era risaputo che Bianchi fosse indagato dalla Procura di Firenze) e, al contempo, fa presente che è necessario “produrre idonea documentazione giustificativa in relazione ai prospettati trasferimenti”. Bianchi esegue. Il 31 luglio e il 3 agosto trasferisce sul conto del fratello 100mila euro in due tranche da 50mila euro. La causale? “Prestito infruttifero“. Successivamente fa inoltrare alla banca una mail ricevuta dal fratello il 4 agosto, in cui lo stesso, confermando l’esistenza del prestito di 100mila euro, afferma “di costituire in garanzia a suo favore 2500 azioni della Livanova Plc di cui, benché esclusivo proprietario, avrebbe acquisito la disponibilità soltanto nel giugno 2022″.
A questo punto la filiale esegue degli accertamenti e rileva – si legge nella Sos – che “l’analisi congiunta dei rapporti dell’avvocato e del fratello Francesco, libero professionista con incarichi istituzionali, ha posto in evidenza, ad eccezione di un’unica operazione di segno contrario, il 3 luglio 2019 (in cui Francesco Bianchi rimetteva ad Alberto la somma di 40mila euro con una disposizione priva di causale), la presenza di ulteriori somme trasferite dal primo a favore dell’odierno beneficiario e, segnatamente, due bonifici per 40mila euro il 16 e il 17 aprile 2019 e altri due, il 25 settembre e il 14 ottobre, per 60mila euro, quindi per complessivi 100mila euro senza indicazione di alcuna motivazione“. L’analisi sul conto personale del presidente di Open prosegue. E la banca sottolinea altri movimenti, tra cui alcuni relativi alla verifica effettuata sul conto intestato al Comitato Leopolda 9 e 10, di cui Bianchi ha delega operativa in quanto legale rappresentante. Per l’autore della segnalazione, “appare sospetto il rilievo secondo cui unico finanziatore del rapporto nel corso dell’anno 2020 siano state la T.c.i. Telecomunicazioni Srl e la Tci Elettromeccanica Srl, entrambe del parlamentare Gianfranco Librandi, mediante l’esecuzione, circoscritta al periodo dal 10 giugno al 30 luglio 2020, di sette bonifici per complessivi 135mila euro, tutti accompagnati dall’identica causale “erogazione liberale“.
Alla luce di quanto raccolto, chi effettua la segnalazione redige una nota di motivazione del sospetto molto articolata. Nell’atto depositato nelle carte dell’inchiesta fiorentina, dopo aver sottolineato che il legale è personaggio noto alle cronache e “agli Uffici Giudiziari del capoluogo toscano” per le indagini su fatti e finanziamenti sospetti collegati alla Fondazione Open, la richiesta di Bianchi viene descritta come “ambigua” e già di per sé rilevante poiché proveniente da un avvocato destinatario degli obblighi imposti dalla normativa antiriciclaggio. A questo, si aggiunge “una connotazione di ulteriore sospetto di fronte al riscontro di operatività analoga effettuata già in plurime occasioni nel recente passato, peraltro secondo modalità anomale (disposizioni in date consecutive o ravvicinate, da conti diversi e prive di causali esplicative)”. Chi scrive la segnalazione, poi, esclude “da parte dell’esperto avvocato l’ipotesi dell’espressione di un moto di spontanea ingenuità” e sottolinea “che al momento dell’esecuzione dei precedenti trasferimenti a favore del fratello probabilmente non si conoscevano ancora né l’esistenza delle indagini a suo carico né la loro possibile origine, se non altro in parte, nell’attività di segnalazione di operazioni sospette delle Banche”. Per questo motivo – è la chiusura della sos – “appare plausibile ritenere che l’intento del legale possa essere stato di carattere, almeno vagamente, intimidatorio, al fine di ingenerare nell’interlocutore la consapevolezza di poter essere individuato quale responsabile dell’avvio dell’iter di segnalazione e delle eventuali ulteriori conseguenze per lui dannose“. Tradotto: chi ha raccolto la richiesta del presidente di Open si è sentito in qualche modo minacciato.