Allacciatevi bene le cinture perché quello che state per leggere è davvero sconcertante. Vi parlerò delle nuove tecniche antiaborto dell’ultradestra in America Latina, scovate da un incredibile lavoro di indagine giornalistica portato avanti da Carla Perelló, Megan Janetsky, Jennifer Ávila y Álvaro Murillo. Il team di lavoro che fa capo a El Pais ha lavorato con l’appoggio della International Women’s Media Foundation (IWMF) all’intero del programma “Salud Reproductiva, Derechos y Justicia en las Américas” e ha portato alla luce, in cinque paesi della regione, una rete camuffata di centri antiaborto affiliati all’organizzazione conservatrice statunitense Heartbeat International (HI).

Attenzione, il problema non risiede nel fatto che HI, nota organizzazione pro vita Usa nata nel 1971, porti avanti in modo legittimo le sue istanze e le sue opinioni contro l’aborto: il problema sussiste nel come questa organizzazione stia operando. La rete di centri facenti capo a HI si autopromuove infatti su internet utilizzando un linguaggio e una simbologia ambigui e a favore dell’aborto, definendosi femminista e per la promozione dei diritti riproduttivi delle donne. In realtà però dietro c’è ben altro. L’idea è quella di captare donne incinte che stanno pensando ad un aborto (ancora illegale nella maggior parte dei paese della regione) per manipolarle e convincerle a cercare di portare a termine la gravidanza.

Argentina, Colombia, Costa Rica, El Salvador e Messico sono i paesi nei quali queste coraggiose giornaliste hanno lavorato sotto copertura tra il 2019 e il 2021, a seguito di un’indagine di OpenDemocracy sulle operazioni di HI nella regione. Durante il loro lavoro si sono imbattute in una strategia di approccio sistematizzata che va dall’offrire false informazioni sull’aborto, proporre l’adozione come alternativa e, in alcuni casi, offrire alloggio e cibo durante la gravidanza. Le promesse di adozione di questi centri sono in molti casi in aperto contrasto con le leggi vigenti negli stessi paesi dove operano e mirano a fermare l’avanzata dell’onda verde che sta attraversando la regione e che ha portato un significativo miglioramento delle leggi riguardanti i diritti riproduttivi delle donne, come ad esempio in Argentina.

Susana Chávez, direttrice esecutiva del Consorcio Latinoamericano Contra el Aborto Inseguro (Clacai), intervistata da El Pais allerta su questa rete sotterranea e subdola, che avanza silenziosamente nella regione e ha dichiarato, senza peli sulla lingua, che: “L’adozione come alternativa all’interruzione della gravidanza è una menzogna. In realtà ciò che cercano di fare questi centri è scoraggiare la bambina, l’adolescente, la donna, dall’abortire con una falsa promessa che non manterranno mai”.

Heartbeat International, organizzazione cattolica Usa nata nel contesto della battaglia legale sul caso “Roe vs. Wade” – che ha portato alla legalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati Uniti – ha un manifesto esplicito: “Aiutare le donne a sfuggire alla tentazione e alla pressione di abortire i loro preziosi bambini”. HI conta su una rete di 2.850 organizzazioni affiliate in tutto il mondo e solo in Messico opera ad esempio attraverso 70 Women’s Help Center o Cam. I Cam (presenti anche in Usa e chiamati Centri di gravidanza in crisi, Cpc) sono appunto i centri visitati o contattati personalmente dalle protagoniste del reportage che si sono trovate di fronte ad un’azione psicologica intrusiva e violenta.

Si legge nel reportage che “molti di questi siti hanno pubblicità ingannevole sui social media. In Messico si spacciano per cliniche per l’interruzione legale della gravidanza. In Argentina si identificano come ‘attiviste femministe’ e in Costa Rica usano i colori e le insegne del movimento a favore dell’aborto e contro la violenza di genere (ad esempio il viola). Ma, al momento del contatto, i centri convocano personalmente le donne e chiedono loro dati personali sensibili come il nome e il contatto del loro partner”.

Le giornaliste riportano poi che durante le loro visite nei centri in Messico, El Salvador, Argentina e Costa Rica sono stati mostrati loro vari video e opuscoli con informazione false, manipolate o ingigantite sulle conseguenze di un aborto. Gli è stato detto che l’aborto potrebbe portare al suicidio, alla sindrome post-aborto, che l’uso della pillola misoprostol può portare ad un aborto “incompleto” e a una grave infezione, che un aborto può portare al cancro al seno, emorragie incontrollabili, morte e persino alla possibile amputazione delle gambe. Alla fine di tutto questo arriva la parte nella quale si fanno le false promesse sulla possibile adozione e sul fatto che i centri possono offrire vitto e alloggio durante la gravidanza.

L’idea di fondo della rete dei Cam affiliati ad HI è quella di evitare l’aborto ad ogni costo, senza preoccuparsi poi delle condizioni di vita della madre o del piccolo/a. Una volta partorito le donne in situazione di vulnerabilità vengono abbandonate (subito o dopo qualche mese) dai centri e si trovano da sole a dover gestire la maternità: alimentando una volta di più il circolo della povertà. Una lotta ideologica portata avanti in modo subdolo da HI sul corpo delle donne, che ancora una volta ci dimostra quando lavoro di ci sia ancora da fare per garantire i pieni diritti riproduttivi e di scelta delle donne in America Latina e nei Caraibi (e purtroppo non solo).

L’onda verde però è partita e al grido di “La maternidad será deseada o no será”, “Aborto seguro y legal ya”, “Aborto libre y seguro”, migliaia di donne stanno facendo pressione sui rispettivi sistemi legali nazionali abbattendo i dogmi del patriarcato che vanno a braccetto con la chiesa conservatrice. Il prossimo appuntamento è in Colombia, dove tra pochi giorni la Corte Costituzionale dovrà emettere il suo verdetto sulla possibile completa depenalizzazione dell’aborto: sarebbe il primo caso nella regione.

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