Mi è capitato di recente di leggere un articolo di Marco Lodoli che parla dei più grandi artisti del Novecento, in determinate discipline (citava espressamente Bob Dylan, Charlie Chaplin e Fellini), percepiti come autori sconosciuti dalle nuove generazioni, improponibili in classe perché sentiti come “anticaglie”, differenti dal mainstream con cui si trovano ad avere a che fare fuori da scuola.

È vero, e lo dico da insegnante. Ricordo benissimo le prime volte che entravo in classe: “Conosco benissimo Fabrizio De André, quindi mi sarà facile fare lezioni alternative. I ragazzi rimarranno a bocca aperta”. I ragazzi rimanevano davvero a bocca aperta, ma perché sbadigliavano, e di certo la colpa non era di De André. Non era quella la maniera, non era quella la metodologia. Più tardi ho capito come fare, come appassionarli, ho capito che ci devi arrivare per gradi, che c’è un approccio imitativo e uno analitico. E poi ho capito che è tutta una questione comunicativa. Dio solo sa quanto sia prezioso oggi saper comunicare bene le cose, conservando i contenuti freschi e dinamici, senza banalizzarli.

Io credo sia arrivato il momento di storicizzare la poetica dei principali cantautori italiani: perché servono, a scuola e nella società, come il pane. Però c’è bisogno di gente che sappia farli arrivare, che sappia fare prima lavoro di cernita, di scelta (l’azione più importante e preziosa della critica), capire quali siano i migliori, determinare un canone e porgerlo in maniera “semplice” (che non è “facile”!) e appassionante.

Sabato scorso sono stato alla rassegna culturale Fla di Pescara, per assistere alla prima nazionale dello spettacolo E ti vengo a cercare. Voli imprevedibili e ascese velocissime di Franco Battiato, di e con Andrea Scanzi, accompagnato sul palco dal musicista Gianluca Di Febo. Dico subito che la parte musicale di Di Febo è stata molto accurata e originale, ma io qui voglio occuparmi del racconto.

Conosco Andrea da più o meno quindici anni e gli riconosco una cosa su tutte: è un grandissimo comunicatore. Sul palco racconta i cantautori in maniera impeccabile. Prima di tutto succede perché parla di cose di cui è appassionato, ma di certo non è facile trasmettere la passione, come dicevo prima. Lui gestisce perfettamente i tempi teatrali, sa quando caricare e quando distendere. Ricordo quando gli organizzai uno spettacolo, proprio in una scuola qui nella mia città, a Montesilvano. Andava come un treno: oltre duecento ragazzi stregati da due ore su Giorgio Gaber. Era il 2013 e Andrea non aveva ancora il seguito di oggi. Non dev’essere stato facile conservare la concentrazione anche dopo l’estrema notorietà, e aver addirittura migliorato la dovizia di particolari nell’incastro tra contenuto e narrazione.

In questo nuovo spettacolo su Battiato fa bene a soffermarsi sul periodo sperimentale degli anni Settanta; perché le fondamenta del cantautore catanese stanno tutte lì. Quella è la crisalide che ci restituisce una farfalla unica nel suo genere. Quello è un periodo difficilmente riproponibile, perché è stato permesso a uno bravo (e Battiato era mostruoso, non semplicemente bravo) di prendere meglio la mira, fino ad arrivare a tre dischi stratosferici dal 1979 al 1981: Bandiera bianca, Patriots, La voce del padrone. La perfezione.

Un altro momento molto suggestivo è stato quando Andrea ha raccontato l’altro “scavallamento” di decade: dal 1988 al 1992. Da Fisiognomica e Giubbe rosse al concerto di Baghdad, con Povera patria come apice. Lì, lo Scanzi narratore si è unito a quello dell’invettiva, quando il racconto ha acquisito coloriture etiche. Ricordo che anche nello spettacolo su De André c’era un passaggio su Sidùn di questo tipo. È il momento forse migliore dei suoi spettacoli, soprattutto esteticamente, quando le “voci potenti adatte per il vaffanculo” vengono celebrate per la loro forza e preziosità, se pensiamo ai cori “di vibrante protesta” che si gonfiano oggi dai nuovi cantautori mainstream (da Ultimo a Tommaso Paradiso, per dire i primi due che mi vengono in mente), come se andasse tutto benissimo.

Quello di Scanzi su Battiato, insomma, è uno spettacolo prezioso, proprio perché c’è bisogno di conoscere il più possibile cosa hanno fatto i nostri migliori, creare e cementare una memoria condivisa. Ho iniziato questo post parlando da insegnante; concludo dicendo che personalmente ho capito proprio dai suoi spettacoli quanto sia importante raccontare i migliori. Farlo sul palco, oggi, è la cosa che mi piace di più, persino più di scriverne nei libri. Sentire che stai arrivando, che il pubblico ti segue e si emoziona per cose così potenti, dà una gratificazione incredibile.

Andrea lo fa benissimo, credo sia il migliore in questo in Italia. Se vi capita, non perdetevelo.

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