Per la Corte costituzionale è "irragionevole e sproporzionata" la previsione dell'articolo 117 del Codice appalti. Festeggiano i sindacati, che fin dal 2016 si sono mobilitati contro quella norma paventando il possibile impatto su 150mila addetti ai servizi pubblici essenziali e un aumento del costo per gli utenti
La Consulta boccia un articolo del nuovo Codice appalti varato nel 2016 dal governo Renzi e dà ragione ai sindacati che da tempo chiedevano di fare marcia indietro paventando un pesante impatto sui posti di lavoro nei servizi pubblici essenziali, dall’elettricità, a gas, acqua e rifiuti. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 218 depositata martedì, definisce “irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine” di garantire l’apertura al mercato e alla concorrenza la previsione dell’articolo 117 del Codice dei contratti pubblici, in base al quale i titolari di concessioni in affidamento diretto avrebbero dovuto dall’anno prossimo esternalizzare tutta l’attività oggetto della concessione appaltando l’80% dei contratti e assegnando il restante 20% a società in house o collegate.
La pronuncia ribadisce che il legislatore può intervenire a limitare la libertà d’impresa in funzione della tutela della concorrenza ponendo rimedio, attraverso gli obblighi di esternalizzazione, al vulnus derivante da passati affidamenti diretti al di fuori delle regole del mercato. Ma la libertà d’impresa non può subire interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe “sacrificando completamente la facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative tipiche della stessa attività imprenditoriale”, scrive la Corte. Secondo la quale il legislatore, stabilendo un obbligo “particolarmente incisivo e ampio”, ha omesso di considerare non solo l’interesse dei concessionari ma anche quelli dei concedenti, degli eventuali utenti del servizio e del personale occupato nell’impresa. Interessi, tutti, che per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione, non possono essere tuttavia completamente ignorati.
Festeggiano i segretari generali di Filctem Cgil, Femca e Flaei Cisl, Uiltec Uil Marco Falcinelli, Nora Garofalo, Amedeo Testa e Paolo Pirani, che fin dal 2016 si sono mobilitati contro quella norma: “È stata impedita la totale destrutturazione industriale di interi settori strategici per il sistema Paese. L’esternalizzazione selvaggia delle attività legate ai servizi pubblici essenziali come l’elettricità e il gas, prevista dall’articolo 177 del Codice Appalti, avrebbe generato, infatti, il depauperamento di competenze professionali, la cancellazione degli investimenti sulle reti e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, insieme a un aumento dei rischi per i lavoratori”. “Resta”, aggiungono, “il rammarico che su decisioni così rilevanti con implicazioni devastanti di carattere sociale, industriale ed economico a decidere non sia stata la politica, come sarebbe stato auspicabile, ma una sentenza della Corte costituzionale”. A luglio il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra aveva fatto appello allo stesso premier Mario Draghi chiedendo l’abrogazione dell’articolo che – aveva detto – “metterebbe a rischio i 150mila addetti dei settori, lavoratrici e lavoratori dalle indiscutibili ed altissime professionalità e determinerebbe l’impossibilità di realizzare economie di scala, provocando anche un aumento del costo per gli utenti”.
Secondo la presidente della commissione Lavoro della Camera Romina Mura (Pd), “dopo la sentenza della Corte costituzionale non ci devono più essere tentennamenti e bisogna procedere a modificare rapidamente e definitivamente l’articolo 177 del Codice appalti. Lo strumento legislativo in cui inserire la correzione chiesta dalla Consulta è il disegno di legge delega in materia di contratti pubblici in esame al Senato”. La parlamentare era stata prima firmataria di un emendamento approvato al DL Semplificazioni con cui era stata prorogata a fine 2022 l’entrata in vigore dell’articolo 177.