Sui titoli di Stato statunitense l'effetto Powell si è fatto sentire più che altro sulle brevi scadenze, quelle direttamente influenzate dal costo del denaro fissato dalle banche centrali. Il mercato attribuisce oggi una probabilità del 75% alla possibilità che i tassi statunitensi possano salire il prossimo giugno
Assestamenti su tutti i mercati dopo l’annuncio del secondo mandato alla guida della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, per Jerome Powell. Gli investitori non avevano del tutto escluso la possibilità di un avvicendamento con Lael Brainard che ricoprirà invece la carica di vide di Powell. Brainard è considerata una “colomba”, quindi più orientata verso politiche monetarie espansive e a privilegiare gli obiettivi di crescita economica e piena occupazione rispetto al contenimento dei prezzi. La riconferma di Powell lascia invece supporre che un intervento restrittivo ci sarà relativamente a breve. Il mercato attribuisce oggi una probabilità del 75% alla possibilità che i tassi statunitensi possano salire il prossimo giugno. Eventualità che non piace molto alle borse.
Tassi più alti significano una possibile frenata alla crescita ma anche un rafforzamento della moneta e un fattore di contenimento dell’inflazione. Subito dopo l’annuncio della nomina il dollaro è salito dello 0,3% nei confronti dell’euro e dell0 0,8% sullo yen raggiungendo quota 115, livello più alto da 4 anni. Nel frattempo crolla la lira turca già in difficoltà a causa della recente decisione della banca centrale di ridurre i tassi nonostante un’inflazione al 20%. La valuta perde quasi il 9% sul dollari. Il paese è fortemente indebitato in valuta statunitense (446 miliardi) Entro fine mese scadono obbligazioni denominate in dollari per 8 miliardi, il cui rimborso comporterà quindi sforzi aggiuntivi.
Sui titoli di Stato statunitense l’effetto Powell si è fatto sentire più che altro sulle brevi scadenze, quelle direttamente influenzate dal costo del denaro fissato dalle banche centrali. Il rendimento dei titoli a due anni sono saliti dello 0.05% a 0,64%. Tassi più alti significa che le future emissioni di titoli analoghi renderanno di più, quelli già in circolazione perdono quindi valore. Viceversa non ci sono quasi state reazioni sui bond decennali il cui valore è maggiormente soggetto a dinamiche di mercato fuori dal diretto controllo della banche centrali.