In audizione in Commissione giustizia alla Camera a proposito del disegno di legge in discussione, il pm antimafia e consigliere Csm dà l'allarme: la nuova disciplina "avrà un effetto deflattivo sulle collaborazioni di livello con la giustizia degli uomini d'onore" perchè di fatto "è venuta meno la differenza di trattamento tra irriducibili, stragisti e chi collabora". E chiede che le decisioni sui benefici ai boss siano prese da un Tribunale unico
“Corriamo il rischio che i responsabili delle stragi del ’92-’93 tornino in libertà con la condizionale, proprio in virtù dell’applicazione della sentenza della Consulta e della legge che state predisponendo”. A dirlo è Nino Di Matteo, pm antimafia e consigliere del Csm, durante l’audizione in Commissione giustizia alla Camera a proposito del disegno di legge sul superamento dell’ergastolo ostativo, il cui testo base è stato adottato il 17 novembre scorso. Secondo il magistrato, la modifica proposta è una “sostanziale abolizione” della norma che vieta di concedere benefici carcerari e liberazione anticipata ai boss che non collaborano con la giustizia, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale che ha concesso al Parlamento un anno di tempo per riformarla. Il ddl, avverte Di Matteo, “avrà un effetto deflattivo sulle collaborazioni di livello con la giustizia degli uomini d’onore” perchè di fatto “è venuta meno la differenza di trattamento tra irriducibili, stragisti e chi collabora. L’obiettivo primario dei vertici di Cosa nostra è da sempre l’abolizione dell’ergastolo”, ha concluso, “il rischio che si corre è che chi ha fatto le stragi per ricattare lo Stato ottenga ora l’obiettivo che ha perseguito”.
Nel merito del testo in discussione – frutto della riunione di tre proposte a firma M5s, Pd e Fratelli d’Italia – il consigliere Csm ha espresso “perplessità” sulla norma che richiede ai condannati, per ottenere i benefici, di dimostrare “l’integrale adempimento delle obbligazioni civili e delle riparazioni pecuniarie derivanti dal reato o l’assoluta impossibilità di tale adempimento”. Secondo Di Matteo “sarà facile per il mafioso condannato dimostrare di non essere nelle condizioni economiche di risarcire danni” e quindi la previsione si rivelerà “priva di effetti pratici“. Nel ddl, ha poi sottolineato, “manca la previsione, che sarebbe opportuna, della specifica attribuzione di competenze (per decidere sulla concessione dei benefici, ndr) a un unico Tribunale di sorveglianza, che potrebbe essere quello di Roma. Preoccupa invece la frammentazione delle competenze che potrebbe produrre effetti pericolosi sotto il profilo della sicurezza dei giudici di sorveglianza chiamati a decidere. Più si frammenta più aumentano i rischi di condizionamenti impropri o poi di ritorsioni nei confronti dei giudici”.
L’accentramento della competenza era previsto nel disegno di legge a prima firma dell’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi (M5s), poi assorbito dal nuovo testo. Si tratta di “un intervento fondamentale in chiave di efficientamento del sistema e di garanzia per i magistrati chiamati a decidere. Siamo convinti della necessità di adottare questo meccanismo e le parole di Di Matteo confermano quanto abbiamo sempre sostenuto”, scrivono in una nota i deputati M5s in Commissione. “Di Matteo valuta l’accentramento in modo positivo, sostenendo l’opportunità di un simile intervento. Designando un unico ufficio per le decisioni in merito alle istanze dei detenuti condannati per reati ostativi si riduce sensibilmente la possibilità di condizionamenti, di rischi per il giudice e diversità delle pronunce su tutto il territorio nazionale”. Applaude alle parole del pm anche Andrea Delmastro delle Vedove, primo firmatario della proposta di Fratelli d’Italia, l’unico partito che non ha votato a favore dell’adozione del testo base. “FdI ha presentato un testo di legge per salvaguardare la normativa speciale contro i mafiosi”, rivendica, “il Parlamento non si nasconda dietro incomprensibili e mal metabolizzati principi sulla funzione rieducativa della pena che comporterebbero la sconfitta dello Stato contro la mafia”.
Il testo in discussione riprende in molti passaggi la proposta Ferraresi. Oltre all’integrale risarcimento dei danni derivanti del reato, ai boss è richiesto di fornire congrui e specifici elementi concreti, diversi e ulteriori rispetto alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere con certezza l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali”. Non solo. Il giudice dovrà acquisire il parere del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica del luogo in cui è stata emessa la sentenza di primo grado o, se diverso, del luogo di dimora abituale del condannato nonché di quello in cui intende stabilire la residenza una volta uscito dal carcere. Nel testo attuale il parere obbligatorio è solo quello del comitato del luogo in cui il condannato è detenuto (spesso, però, distante centinaia di chilometri da quello in cui ha commesso i reati).
Sarà necessario anche sentire i pubblici ministeri che hanno richiesto le condanne e la procura nazionale antimafia e antiterrorismo, nonché le direzioni dei penitenziari dove il detenuto è internato. Se uno o più di questi pareri fossero contrari, il giudice potrà concedere il beneficio soltanto indicando “gli specifici motivi per i non ha ritenuto rilevanti le istanze istruttorie e gli elementi acquisiti, nonché gli ulteriori elementi che consentono di superare i motivi ostativi indicati nei pareri del pubblico ministero e nelle informazioni fornite dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente”.