di Giovanni Casciaro
Continua la lunga sequenza di omicidi e violenze contro le donne: ne danno notizia, quasi quotidianamente, i mezzi d’informazione. E dallo scoppio del Covid-19 il fenomeno si è intensificato. Di recente si è parlato di un caso: Elena Casanova è stata aspettata sotto casa e finita a martellate dall’ex compagno. L’omicida lo aveva preannunciato, scrivendolo anche sui muri. Elena una delle tante vittime del 2021!
Secondo il Viminale, nel nostro Paese dal 1° gennaio al 21 novembre 2021 sono state uccise 109 donne, di cui 93 in ambito familiare/affettivo e di queste 63 per mano del partner o dell’ex partner. E solo una minoranza delle donne uccise denuncia una situazione di minaccia prima del tragico evento. Per Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat: “Sono numeri che ci raccontano che i femminicidi sono un problema permanente e strutturale” e “questa violenza può essere veramente sconfitta se ci impegniamo permanentemente”.
Secondo l’Istat il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza, cioè atti “di umiliazione, svalorizzazione, controllo ed intimidazione, nonché di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche”. Un misto di violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica, spesso celata e prolungata, che risulta traumatizzante per le donne e per altri soggetti dell’ambito familiare, con esito a volte fatale anche per i minori.
Quindi è veramente importante la ricorrenza del 25 novembre, la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, istituita dall’Onu per sensibilizzare l’opinione pubblica su una delle “più devastanti violazioni dei diritti umani”. Questa ricorrenza non può essere rituale, deve essere l’occasione per affermare una nuova visione delle relazioni e la soluzione non violenta delle crisi.
Questa esigenza emerge anche dal ripresentarsi di convinzioni retrive nella nostra società. In merito, indicativa è stata la sentenza della Corte d’assise di Bologna che, a marzo scorso, ha dimezzato la pena a un uomo, colpevole di aver strangolato la donna con cui intratteneva una relazione, perché in quel momento era in preda ad “una soverchiante tempesta emotiva e passionale”. Una sentenza che conferma inaccettabili giustificazioni, purtroppo ancora diffuse, per episodi di estrema violenza contro le donne.
Più in generale, come documenta un’inchiesta Istat del 2019, permangono in Italia settori retrogradi, che vogliono confinare la donna in una condizione di subalternità. Perdurano “stereotipi radicati riguardo ai ruoli di genere maschili e femminili che confinano le donne nel ruolo di madri e casalinghe”.
Mentre restano insufficienti i fondi destinati ai centri antiviolenza e alle case rifugio per le donne minacciate e il piano nazionale antiviolenza, per il 2021-2023, è stato definito solo di recente, quindi con notevole ritardo. Rispetto al nuovo piano D.i.RE, Donne in Rete contro la violenza, denuncia: siamo state “consultate ma non ascoltate”.
Tuttavia, malgrado questa situazione, sono numerose le persone che condannano tutti i comportamenti e i rapporti violenti, anche quelli legati al genere o agli orientamenti sessuali. Affrontano i molteplici problemi insiti nelle crisi in modo rispettoso, trovano soluzioni ragionevoli o pervengono a separazioni amichevoli, con una attenzione ai minori in tutte le evenienze. Inoltre, sono tante le associazioni con progetti e iniziative di aiuto per le donne in difficoltà: italiane e migranti, o che vivono in Paesi, come l’Afghanistan, dove la discriminazione e la violenza sono perpetrate dallo Stato.
Il 25 novembre è pertanto una ricorrenza carica di significati per le donne e oggi, sempre di più, anche per quegli uomini impegnati ad affermare relazioni basate solo su legami affettivi liberamente scelti e condivisi, senza alcuna discriminazione e coercizione.