È un periodo cruciale per la vita del nostro Paese, per il futuro dell’Italia, per la cultura, l’economia, per la politica, per tutti i giovani. Tutti lo sanno, pochi lo dicono, quasi nessuno lo mette in pratica. Dobbiamo uscire da una crisi strutturale ormai vecchia più di trent’anni. Abbiamo molto denaro da usare, ma una volta per sempre, dopo basta. Abbiamo devastato l’ambiente, ma non solo quello naturale, soprattutto quello umano, scatenando un individualismo centrifugo, distruttivo e dispersivo più di qualsiasi entropia. E c’è rimasta una sola strada: cambiare marcia, no compromessi, no pannicelli caldi, no interventi palliativi, spese esclusivamente strutturali. Nel piccolo come nel grande. Il mondo dell’infanzia italiana nata dal Dopoguerra è finito. Non abbiamo più scuse – terrorismo, nord-sud, arretratezza, esclusioni politiche varie – ora bisogna fare sul serio. Grandi e autonomi senza scuse, senza giustificazioni, senza presunzioni, guardando gli altri, correggendo i nostri difetti. Il mondo è globale, a dire il vero da un bel po’. Piantiamola di contemplare i nostri allori – l’arte, la musica, la moda le bellezze naturali, il cibo – e vediamo di andare avanti.
Un piccolo caso, una vicenda simbolica, una per tutti. Il Monte Rosa, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, l’idea di costruire una lunga funivia nell’intatto vallone delle Cime Bianche, il turismo, le montagne. Un grande progetto, sempre una piccola cosa per il Paese intero. Però un intervento che dovrebbe armonizzarsi alle linee di politica economica nazionale – come tutti gli interventi da nord a sud, anche quelli in capo alle Regioni Autonome. Il mondo è cambiato anche per l’Alto Adige, la Sicilia e la Valle d’Aosta.
Draghi sa benissimo quale dovrebbe essere la linea della politica economica nazionale: una riconversione “verde” dell’economia, alta tecnologia e grandi profitti per l’industria che non fa danni. Più benessere (non solo telefonini o automobili) per tutti. Progressiva dismissione di tutte le attività che tolgono più di quanto danno. Non avremo mai più le disponibilità per investimenti che abbiamo ora, ripetiamolo. Ogni singolo euro speso male oggi farà domani un danno doppio a tutto il Paese, fermando il futuro e togliendo ad altri più meritevoli un’occasione che non si ripresenterà.
Non voglio entrare, ovviamente, nel merito del dibattito sulla costruzione di questo grande impianto a fune, che certamente sarebbe realizzato con tecnologie e modalità il meno impattanti possibile sull’ambiente. Certo, se leggiamo gli argomenti illustrati da alcuni sostenitori di questa funivia che creerebbe un unico carosello sciistico dalla Val d’Ayas, Cervinia e Zermatt, c’è da piangere. Né si possono sentire le ragioni di quell’ambientalismo del “no”, metodologicamente sordo, perfino alle ragioni proprio di quanti vivono nei luoghi oggetto di contesa. È la nostra idea di turismo che deve essere riconsiderata. L’utilizzo del territorio per finalità economiche. I rapporti tra il turismo e le altre attività. La realizzazione di profitti privati grazie allo sfruttamento e spesso alla distruzione noncurante di beni pubblici. E tutto questo è compito eminente della politica, dei cittadini che dovrebbero formare e informare la politica, e non possono lasciarlo a piccoli gruppi di interesse.
Quando leggiamo che “lo sci è uno sport per tutti” (costo stimato pro-capite per una giornata di sci sulle Dolomiti: oltre 150 euro), capiamo che le idee non c’entrano, c’entrano solo gli interessi e quindi si è disposti alla menzogna pur di raggiungere i propri scopi. E così non va bene. Quando vediamo che le Regioni Autonome, in forza delle maggiori entrate conseguenti all’autonomia, pensano di poter praticare politiche economiche e ambientali differenti (parliamo delle centrali elettriche?), allora è chiaro che le responsabilità sono diffuse. Ma il dovere di controllo del Governo ancora più indispensabile.
Quante altre funivie di Cime Bianche ci sono nel nostro paese in questo momento? Quanti altri stanno pensando di poter continuare a spendere e spandere senza aver compreso l’obbligo del cambiamento, che il mondo non è più quello di dieci-venti anni fa? Perché continuiamo a occuparci di questioni tutto sommato più marginali rispetto all’urgenza di rispettare l’ambiente, fondando un’economia in grado di produrre benessere, ma senza devastazioni? Questa politica fatta quasi solo di nani (ma senza ballerine), con il codazzo di informazione che si merita, invece parla di piccoli giochi politici, di provvedimenti a breve per consensi mirati, e continua a non voler concentrarsi su una nuova indispensabile politica economica nazionale, che sarebbe l’unica aria in grado di farci sopravvivere. Non solo Draghi: forse un po’ tutti faremmo bene a pensarci. Anche in Valle d’Aosta, ovviamente.