“Basta chiacchiere dal governo. Noi per ora abbiamo soltanto in mano una lettera di licenziamento e nessuna certezza sul nostro futuro. Ci dicano quando e come partirà questo Consorzio della mobilità sostenibile e quando saremo assunti”. Nel giorno del trentesimo incontro sulla vertenza Whirlpool, per i lavoratori di Napoli “il tempo ormai è scaduto”.
“Sono esasperati perché questa vertenza va avanti da due anni. Siamo arrivati a pochi giorni da una data cruciale, dopo che sono arrivate le lettere di licenziamento. Non c’è più tempo da perdere, ma ancora non abbiamo risposte dall’esecutivo”, ha rivendicato pure Francesca Re David, segretario generale FIOM Cgil, presente al corteo con i lavoratori, arrivati dal capoluogo campano fino a Roma. E diretti sotto la sede del Ministero dello Sviluppo economico, per il nuovo vertice. Un tavolo iniziato al Mise, al di là delle rivendicazioni dei sindacati, senza la delegazione dei ministri, con Andrea Orlando (Lavoro) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico) assenti perché impegnati in Consiglio dei ministri.
“Non vogliamo nemmeno prendere in considerazione l’idea di Varese, noi chiediamo il lavoro al Sud, a Napoli. E non sarebbe un trasferimento, ma una nuova assunzione dopo il licenziamento, con perdita di diritti”, hanno sottolineato i lavoratori in corteo, contestando quello che definiscono come un “ricatto dell’azienda”, ovvero la scadenza del 30 novembre sulla proposta di accettare o meno la buona uscita proposta dall’azienda o la nuova assunzione a circa 900 chilometri di distanza, nel sito di Cassinetta. “L’azienda vuole soltanto trovare un modo per evitare possibili contenziosi”, c’è chi attacca tra i lavoratori.
“Il governo deve darci certezze, è l’unico che deve e può tutelarci. E invece non è in grado di porre un argine contro le multinazionali e le delocalizzazioni. Questa è una battaglia per il nostro territorio. Ma se l’esecutivo non agisce, è complice”, è l’appello rilanciato. Altrimenti, la promessa è di una mobilitazione a oltranza: “Senza risposte questa volta – rivendicano – noi da Roma non ce ne andiamo”.