Società

Contro la violenza maschile facciamo ‘protezione civile’

Protezione civile: due parole che abbiamo imparato ad associare, in era pandemica e pre-apocalittica, all’insieme di interventi, talvolta tardivi e quasi mai sufficienti, contro gli innumerevoli eventi catastrofici “naturali” provocati dall’incuria umana, in campo ambientale così come in quello sanitario.

Qualche giorno fa, durante un evento online formativo organizzato dal centro antiviolenza Sud Est Donne, ho sentito per la prima volta associare queste due parole alla violenza maschile. A pronunciarle è stato un uomo delle istituzioni, il sindaco di Ginosa, Vito Parisi, che è rimasto ad ascoltare per tutta la durata dell’incontro – fatto questo non secondario perché (succede talvolta anche con sindache) chi ha ruoli istituzionali raramente, dopo i saluti di rito, rimane agli eventi, specie quelli che toccano argomenti legati alla violenza sulle donne. Nella mia esperienza sono state fin qui davvero poche le occasioni nelle quali persone con cariche istituzionali hanno partecipato fino in fondo.

Vito Parisi ha portato nella discussione, incentrata sul fenomeno del revenge porn (la cui definizione convenzionale purtroppo è pessima), il concetto di “protezione civile”, perché proprio sul suo territorio all’inizio di novembre c’è stata una denuncia fatta da una donna, bersaglio di questa odiosa e traumatizzante forma di violenza.

“Protezione civile” sono due parole straordinariamente importanti se associate al fenomeno del sessismo e della violenza maschile sulle donne. Protezione: perché la collettività, quindi la politica in primo luogo, deve farsi carico di proteggere chi è bersaglio di violenza; con la prevenzione e l’educazione che abituano la società a riconoscere la violenza, anche e soprattutto quella che si annida dentro le relazioni familiari, nelle quali siamo troppo diffusamente reticenti a intervenire. “Tra moglie e marito non mettere il dito” è un retaggio radicato nella tradizione popolare patriarcale purtroppo ancora attuale.

Civile: perché il livello di giustizia, armonia e benessere di una collettività si misurano, in primo luogo, sulla civiltà della relazione tra i sessi, ed è sotto i nostri occhi, persino di chi si ostina a negare l’evidenza, che un paese civile non può permettersi di dirsi tale se una donna viene uccisa da un uomo che diceva di amarla circa ogni tre giorni.

Sono due parole significative dal momento che, in origine, l’appuntamento organizzato dal centro antiviolenza doveva vertere sull’ecofemminismo, la visione politica trasformativa più urgente da adottare a livello globale se l’umanità vuole avere un futuro sul pianeta, adesso e per le nuove generazioni.

I fenomeni comportamentali connessi alla violenza maschile sulle donne, tra i quali certamente uno dei più recenti e pericolosi è quello della diffusione senza consenso di immagini legate alla sfera dell’intimità (scambiate sulla fiducia poi tradita una volta che la donna vuole interrompere la relazione), sono una questione politica legata strettamente all’ecologia delle relazioni: riguardano, infatti, non soltanto chi compie materialmente il reato, e usa in modo irresponsabile e tossico la tecnologia, ma rivelano condotte guidate dalla volontà di esercitare potere sulla vittima.

Potere è una delle parole chiave nell’analisi della violenza maschile sulle donne: quando si vuole umiliare, annichilire o distruggere una donna è sufficiente demolire la sua dignità e autorevolezza vandalizzando la sua dimensione intima. Ci si “vendica” sessualizzando la donna, rendendola oggetto sessuale “pubblico”, esponendola vulnerabile, pur virtualmente, ma non per questo in modo meno ferino e disumano, allo sguardo predatorio di chiunque, e lo si fa perché si è autorizzati a questo gesto di dominio da un comune sentire che empatizza più con il perpetratore del reato piuttosto che con la donna bersaglio: se l’è cercata, quindi ora paghi con la gogna e le forche caudine la sua leggerezza.

Per questo il lavoro di ridefinizione delle relazioni umane tra donne e uomini per eliminare la violenza da esse è, dunque, davvero una questione ecofemminista di protezione civile collettiva.

La fondazione del Fatto Quotidiano, insieme alla onlus Trama di Terre, finanzia borse di autonomia per sostenere donne sopravvissute alla violenza. Visita il sito e scopri come aiutarci: clicca qui