Cultura

Cry Macho, dopo quasi 50 anni arriva in Italia il romanzo cult di Richard Nash da cui è tratto il nuovo film di Eastwood: l’estratto in anteprima

Ecco tutto quello che c'è da sapere su Cry Macho, pubblicato da Libreria Pienogiorno, in queste ore in libreria, e di cui FQMagazine vi offre uno stralcio in anteprima

“Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare”. No, non è una scena, con storica annessa battuta de Il Padrino, ma uno dei momenti clou del romanzo Cry Macho scritto da Richard Nash e pubblicato da Libreria Pienogiorno, in queste ore in libreria, e di cui FQMagazine vi offre uno stralcio in anteprima. Un fitto dialogo tra Howard Polk e Mike Milo dove il primo propone al secondo di prelevare, o ancora meglio rapire, il proprio figlio che vive in Messico sotto tutela di una madre lasciva.

Sorpresa emotiva, turning point narrativo, rapida resa dei conti tra Milo, un’anziana star del rodeo costretto ancora ad esibirsi in show sempre più pesanti per il suo fisico, e il suo sbrigativo e prepotente ex boss. Milo si attiverà dal Texas a Città del Messico, e ritorno, prelevando quel ragazzino così poco amato dai genitori che cova rabbia. Il rapporto burrascoso tra i due si svilupperà tra incognite caratteriali, inseguimenti, infine una curioso empatia perché i due hanno qualcosa di molto profondo in comune. Da questo libro datato 1975 è stato tratto un film con la regia di Clint Eastwood, che veste i panni anche del protagonista Milo, opera che si vedrà in anteprima italiana al Torino Film Festival l’1 dicembre 2021.

Il libro di Nash era stato più volte adattato sul finire degli anni settanta da alcuni studios hollywoodiani con l’interessamento di grandi star per il personaggio di Milo come Roy Scheider, Burt Lancaster, Arnold Schwarzenegger. Pierce Brosnan, e anche lo stesso Eastwood all’epoca ancora nemmeno cinquantenne, ma la sua realizzazione su grande schermo è arrivata postuma. Nash è morto nel 2000.

ECCO UN ESTRATTO IN ESCLUSIVA:

First serial

Non sentì i passi. Non aveva idea di quanto tempo l’uomo fosse rimasto fuori dalla porta aperta, indistinguibile nel buio. Ebbe la certezza che stessero per derubarlo.

«Chi è?», chiese.

L’uomo fece un passo avanti alla luce. Era Howard Polk.

«Posso entrare?», chiese.

Mike si limitò a fissarlo. Howard non era mai venuto a trovarlo, ma l’enigma andava al di là di cosa ci faceva lì quell’uomo. La sua presenza era solo un gran casino in fatto di tempismo, luogo, circostanze. Howard ovviamente si accorse della perplessità di Mike, sorrise e, senza aspettare di essere invitato, entrò.

«Che cosa vuoi?», sibilò Mike.

«Hai detto qualcosa a proposito di alimenti…» Si interruppe, quasi sperasse che Mike avrebbe finito la frase al posto suo. Mike non lo fece. Howard proseguì: «Mi ha fatto pensare…» Altra pausa.

Polk la riempì da solo, con un movimento. Infilò una mano nel taschino della giacca, tirò fuori un portafoglio, ne sfilò qualcosa.

«Vorrei che dessi un’occhiata a una foto», disse Howard.

Allungò la mano, porgendogli l’istantanea. All’inizio Mike non capì. Girandola verso la luce, vide che era il primo piano di un bambino di età prescolare, forse più grande. Un bel bambino, latino, con un viso ammiccante che avrebbe potuto nascondere un animo malvagio, un bel ragazzino, ben vestito, ben nutrito.

«Quella che stai guardando è una foto di mio figlio», disse Howard. «Si chiama Rafael. Aveva sei anni quando è stata scattata. Adesso ne ha quasi undici».

Mike gli restituì la foto. «Un bel bambino». Commento standard. Vago.

«Sì», rispose Howard. «Non lo vedo da cinque anni».

«Un sacco di tempo».

«Mi manca».

Mike non riusciva a immaginare che a Howard mancasse qualcuno, nemmeno per cinque minuti. Polk parve aver intuito i suoi pensieri. Suonò più divertito che sulla difensiva. «È possibile che un padre senta la mancanza di un figlio per cinque anni».

«Se c’è un motivo».

Howard annuì, apprezzando Mike per l’intuito. «Esattamente».

«Qual è il motivo?»

«Voglio che tu lo rapisca».

Senza inflessione. Calmo. Vigile.

Mike cercò di imitare l’atteggiamento di Howard. «Rapire? A sua madre?»

«Sì».

«Perché?»

«Riscatto».

«Hai tutti i soldi del mondo… quanti ne vuoi ancora?»

«Solo quello che è mio», disse Howard. Mike si chiese se era risentimento quello che sentiva nella voce dell’uomo, o se se lo stava solo immaginando. «Pagherà il riscatto… con i miei soldi. Sembra solo giusto».

«Capisco», disse Mike. Aveva ragione: risentimento. Un piccolo segno rivelatore del rancore di Howard. Forse diceva qualcosa del denaro in sé, o delle ripicche del divorzio. «Be’, non esattamente», aggiunse.

«Ho conosciuto mia moglie qui in Texas». Howard parlava come se stesse leggendo degli appunti. «È messicana… stava facendo un viaggio. Come me. Ci siamo sposati, abbiamo avuto un figlio e per un po’abbiamo vissuto a Dallas, poi a New York. In quel periodo stavo facendo degli investimenti… grossi investimenti a Città del Messico. Dato che non possiamo avere proprietà in Messico – noi yankee, intendo… si tratta di una legge arzigogolata – ho intestato tutto a mia moglie. Ci sono centinaia di modi migliori per farlo, ma non quando sei innamorato e pensi che il tuo matrimonio durerà per sempre». Sorrise senza allegria. «Be’, il contratto matrimoniale non è durato, ma tutti gli altri sì. Immobili, una società mineraria, tutto quanto». Rimase zitto un attimo, distolse lo sguardo, poi parlò con voce studiatamente amichevole. «Vorrei riaprire i negoziati con lei».

«Perché non lo fai?»

«Non ho niente che lei voglia», disse con perfetto candore. «Ma se le portassi via Rafo, toglierebbe il veto al tavolo delle trattative».

«Hai provato senza di lui, ovviamente».

«Ho speso più di duecentomila dollari in avvocati», disse Polk. E adesso stava girando la domanda a lui. «Se avessi Rafo, mi costerebbe molto meno».

«Quanto?»

«Lo faresti per cinquantamila dollari?»

«No».

Howard lo studiò. «Quanto?»

«Non sono un rapitore».

Anche se era stato lui a usare per primo quella parola, adesso sembrava indignato. «Non usare quella parola… è mio figlio».

«Non il mio».

«Non è un crimine, Michael», disse con pacata ragionevolezza.

Era troppo strano, pensò Mike. «Perché io?», disse. «Se pensi che sarei capace di fare una cosa del genere…!»

Howard fraintese il “sarei capace”. «Oh, ma sei perfettamente in grado», disse senza scomporsi. «Non serve nessuna abilità particolare… non nel modo in cui l’ho pensata io». Poi, con eccessiva affabilità: «Semmai, sei troppo qualificato. Ora, se hai altre obiezioni…»

«Sì, le ho».

«Mi odi a morte».

«Vale la pena di tenerlo in considerazione». Howard fece un gran sorriso. «Non lasciamoci distrarre dai dettagli, hai già lavorato per me». Poi, con un tocco di malizia: «E poi, credi che mi fiderei di chiunque asserisca di apprezzarmi?»

La cosa stava diventando sempre più bizzarra: Polk aveva scelto lui perché l’onestà di Mike lo rendeva idoneo a fare un lavoro disonesto.

Howard parve intuire che Mike si stava arrabbiando. Aggiunse in fretta: «Non c’è niente di sbagliato, Michael. Non sono neanche sicuro che sia illegale».

Mike sbottò: «Cosa diavolo mi stai dicendo?… che dovrei solo riportare un figlio dal suo affezionato padre?… Tutto qui? Cosa succederebbe se venissi fermato dalla polizia messicana? Mi lasceresti a mollo senza pensarci due volte!»

«Be’», disse Howard, «dovrei restarne fuori. Di sicuro finché il ragazzo non arriva qui».

«Non arriverà qui… non con me! Buonanotte, Polk».

Howard non se ne andò. D’un tratto Mike era stupito di se stesso. Cosa stava facendo, a discutere di quella cosa? Perché non aveva semplicemente detto di no, senza ambiguità, senza ribattere? «Vattene», disse Mike.

«Non ancora, Michael», ribatté con calma. «È veramente molto più facile di quanto pensi. Ho appena…»

«No!»

«Vuoi ascoltare, per favore? Ho appena comprato un furgone, un furgoncino per le consegne. Lo guiderai laggiù per andare in vacanza».

Mike disse a bassa voce: «Prima ti tiro un pugno, poi ti butto giù dalle scale a calci».

«Stupido figlio di puttana! Lo sai che cosa ti succederà? Farai una brutta fine. Esattamente come gli altri cowboy del rodeo – alcol, puttane – e ti ritroverai in fondo alla china. Ci sei già andato vicino una volta, ricordi? E questa volta non ci sarà niente a frenare la caduta perché non hai nulla a cui aggrapparti. Niente denaro. Questo è un appiglio, Michael. In tutti gli anni che hai passato su un cavallo, non sei stato in grado di mettere insieme una somma del genere. Un gruzzolo per i tempi difficili. E io te lo sto offrendo: cinquantamila! Ti darà il tempo per cambiare vita… cercarti un’occupazione… ricollocarti. Datti una possibilità!»

Sul viso di Mike non si mosse un muscolo. L’uomo se ne andò. Mike rimase immobile.

Udì Howard scendere le scale. Anche se sapeva che il rumore dei passi si stava allontanando, ebbe la sensazione aberrante che se non avesse chiuso la porta, si sarebbero avvicinati di nuovo.

Doveva tenersi occupato. L’appartamento aveva bisogno di una ripulita. Iniziò a pulire. Poi smise. Non era di pulizie che aveva bisogno.

Doveva fare qualcosa. Per qualcuno. Era questo il segreto; era spesso il segreto quando si trattava di lui: fare qualcosa per qualcuno. Lo distraeva da se stesso, gli permetteva di immedesimarsi nei sentimenti di altre persone. Lo faceva sentire generoso, degno di valore, gli dava la sensazione di avere il diritto di chiedere qualcosa alla vita. Se solo avesse avuto qualcuno per cui fare qualcosa.

Per gentile concessione di William Morris Endeavor e Libreria Pienogiorno. © 2021 FullDay srl, Milano / © N. Richard Nash