Alla Camera si entra solo con il Green pass. Il Consiglio di giurisdizione di Montecitorio ha stabilito che non vi siano ragioni d’urgenza per sospendere la decisione dei questori di chiedere il Greenpass a tutti i deputati e quindi anche per la deputata Sara Cunial. Con queste stringate parole viene respinta dalla Camera la sospensiva per la deputata ex M5s, in questi giorni autorizzata ad entrare a Montecitorio senza Green pass dopo un suo ricorso.
Il presidente Alberto Losacco ha firmato due ordinanze con le quali si definiscono le istanze cautelari richieste da alcuni deputati che non intendono esibire il Green pass per accedere nelle sedi della Camera. Il Consiglio, composto anche dalle onorevoli Stefania Ascari e Silvia Covolo, ritiene che non vi siano ragioni d’urgenza per sospendere la decisione di richiedere la certificazione verde. La decisione del Consiglio – ricorda una nota – era stata anticipata da due decreti monocratici di Losacco, che risultano quindi oggi confermati. Uno dei due decreti, quello che riguarda la posizione della deputata Cunial, era stato oggetto di una pronuncia del Presidente del Collegio d’appello della Camera, Andrea Colletti, che aveva invece sospeso l’obbligo di esibire il Green pass per quella deputata. La decisione di oggi del Consiglio di giurisdizione rende dunque inefficace quel decreto.
Le due ordinanze del Consiglio di giurisdizione ritengono, in particolare, che sia la vaccinazione contro il Covid-19, sia il tampone sono strumenti che, “pur non potendo scientificamente garantire la certezza in assoluto della loro efficacia ed attendibilità, offrono al riguardo un significativo tasso di probabilità statistica, ed in ogni caso costituiscono attualmente le uniche misure concrete che le Istituzioni possono porre in essere nel doveroso perseguimento della tutela della salute individuale e collettiva, garantita dall’articolo 32 della Costituzione”.
E osservano, ancora, che il “tampone” è “strumento diagnostico che comporta, per la persona che vi si sottopone, un’invasività obiettivamente minima”. Il Consiglio ritiene pure che i membri del Parlamento siano tenuti, al pari e più di ogni altro cittadino, a “non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’uguale protezione del coesistente diritto degli altri”, come osservato dalla Corte costituzionale. I deputati e i senatori, si legge ancora, “devono ricondurre ogni loro ipotetico sacrificio o disagio rispetto alla condizione di ogni altro cittadino all’insieme di responsabilità, potestà, diritti e doveri che compongono lo status di parlamentare in carica”.
Nel frattempo quattro senatori, tutti attualmente del gruppo Misto, hanno presentato ricorso contro lo stesso obbligo alla commissione contenziosa di Palazzo Madama. Si tratta degli M5s Laura Granato, Michele Giarrusso, Gianluigi Paragone e Carlo Martelli. Ma fonti interne della stessa commissione sottolineano che i ricorsi non sarebbero validi perché presentati fuori dai termini previsti dal regolamento che stabiliscono in 30 giorni dal provvedimento del consiglio di presidenza il limite temporale entro il quale si possa fare ricorso.