Sharbat Gula è al sicuro a Roma. Il suo nome, probabilmente, dice qualcosa solo a pochi, ma è di certo nota in tutto il mondo l’inquietante immagine del suo volto di dodicenne ritratto nel 1984 dal celebre fotografo americano Steve McCurry e pubblicata un anno dopo sulla copertina del National Geographic Magazine, con il titolo Ragazza afghana. Uno scatto diventato iconico, una sorta di simbolo di tutti i conflitti afghani.

Gula era una bimba di appena sette anni quando nel 1979 il suo Paese venne invaso dall’Unione Sovietica ed è rimasta suo malgrado per tutta la vita alla mercé di una guerra senza fine. Fino ad oggi, quando è sbarcata a Roma, come ha fatto sapere Palazzo Chigi, aggiungendo che la presidenza del Consiglio “ne ha propiziato e organizzato il trasferimento in Italia, nel più ampio contesto del programma di evacuazione dei cittadini afghani e del piano del Governo per la loro accoglienza e integrazione”.

Oggi Sharbat Gula ha 49 anni. E’ molto diversa da quando McCurry la ritrasse in un campo profughi della città pachistana di Peshawar. I suoi magnetici “occhi di ghiaccio” di un incredibile intensità e colore verde sono ancora gli stessi, come ha documentato lo stesso McCurry, che con il National Geographic organizzò nel 2002 una spedizione per andare a cercarla. Dopo alcuni mesi di ricerche fu ritrovata e il fotografo poté così immortalarla nuovamente, mostrandole anche quella celebre foto che lei ancora non aveva visto e che le è valso il soprannome di Monna Lisa della guerra afghana.

La sua storia è stata travagliata. Tra i 13 e i 16 anni fu costretta a sposarsi con un uomo di nome Rahmat Gul, che poi la lasciò vedova. Nel 1992 riuscì a trasferirsi in Pakistan con le sue tre figlie, per poi essere arrestata perché, secondo le accuse, per stabilirsi nel Paese aveva usato dei documenti falsi. Solo nel 2016 tornò in Afghanistan, dove venne persino accolta dall’allora presidente Ashraf Ghani, che le consegnò le chiavi di un appartamento a Kabul. Ma l’estate scorsa, con il ritorno dei talebani al potere, tutto il suo mondo è crollato di nuovo e lei ha cercato ancora di mettersi in salvo, profuga per l’ennesima volta.

Ora torna a darle speranza l’azione italiana che, ricorda Palazzo Chigi, risponde “alle sollecitazioni di quanti nella società civile e in particolare fra le organizzazioni no profit attive in Afghanistan hanno raccolto, dopo gli eventi dello scorso agosto, l’appello di Sharbat Gula ad essere aiutata a lasciare il proprio Paese”.

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