Privatizzare le infrastrutture strategiche? Vendere Telecom agli stranieri? Ce lo ha chiesto (e imposto) l’Europa!

La decisione è stata presa trent’anni fa. La privatizzazione di Telecom come regalo alla Fiat è stata responsabilità del governo di Romano Prodi (ottobre 1997) ed è stata programmata qualche anno prima, il 2 giugno 1992, nello yacht reale del Britannia con il contributo sostanziale di Mario Draghi, l’attuale capo del governo, al tempo direttore generale del Tesoro. Da allora è partito il processo di finanziarizzazione che ha distrutto quello che era un campione – se non il campione – delle telecomunicazioni europee.

In nome dell’Europa, sotto il sacro segno dell’italianissimo Carlo Azeglio Ciampi, tutto è stato privatizzato, comprese le industrie tecnologiche e le banche, con il risultato di un trentennio perduto (e forse di più) per l’economia italiana. L’azienda Telecom, una volta privatizzata, è diventata un bancomat per realizzare ricche plusvalenze – non profitti di impresa, ma plusvalenze finanziarie – da parte di tutti, o quasi, i maggiori capitalisti italiani (Agnelli, Colaninno e la Razza Padana, Tronchetti Provera, Benetton, con il soccorso di Mediobanca, Generali, Intesa, Unicredit e altri) e poi, ovviamente, una volta già abbastanza spolpata, per gli investitori esteri (la spagnola Telefonica, la francese Vivendi, il fondo speculativo americano Elliott e infine oggi un altro fondo americano, Kkr).

Privatizzare e concedere Telecom agli stranieri è stata una tripla bestialità. Prima di tutto perché la rete di telecomunicazioni per sua natura è un monopolio naturale: infatti, sul piano economico e tecnico non hanno senso due reti per una stessa abitazione. Inoltre, l’esternalizzazione delle telecomunicazioni è rovinosa perché le telecomunicazioni sono un comparto ad alta tecnologia: se i centri decisionali si spostano all’estero, l’Italia perde competenze strategiche. Infine, non esiste al mondo un Paese avanzato che ceda la proprietà e il controllo delle sue comunicazioni a potenze straniere: è una questione di sicurezza nazionale.

La vicenda di Telecom Italia rappresenta il simbolo evidente della miseria e della capitolazione del capitalismo italiano e delle sue élite economiche e politiche di fronte al grande capitalismo finanziario europeo e americano. Non tutto però è perduto. Se Cassa Depositi e Prestiti, la finanziaria di stato, riuscirà a mantenere la “rete dell’ultimo miglio” e i data center (dove risiedono i sistemi di informazione e di gestione dei clienti), qualcosa si salverà, non tanto sul piano del business ma su quello della sicurezza e della dignità nazionale. Il fatto peggiore è che Kkr vorrebbe rendere (così sembra) del tutto privata la società: a quel punto, avendone il controllo completo, senza quotazione in borsa, senza soci e senza trasparenza, potrebbe fare quello che vuole.

Probabilmente la prima cosa sarà incassare da Tim Brasil e fare a pezzettini la società. La cosa imbarazzante e ridicola (si ride per non piangere) è che l’americana Kkr prenderebbe i miliardi europei e italiani previsti dal Next Generation Eu e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e i profitti li porterebbe all’estero. Povera Italia!

La privatizzazione di Telecom e delle banche pubbliche è stata la cosa più sciagurata – e fatta anche nella maniera peggiore – che Romano Prodi e Mario Draghi potevano fare dopo avere smantellato completamente l’Iri. Tutto in nome dell’Europa, tutto per entrare a tutti costi nell’euro!

Prodi, dopo il regalo Alfa Romeo alla Fiat nel 1997, con la “madre di tutte le privatizzazioni” ha regalato le telecomunicazioni italiane ancora una volta alla Fiat, che con lo 0,6% dell’azienda governava Telecom, e se ne è disfatto poco dopo con un po’ più di soldi in tasca. A differenza dei tedeschi e dei francesi, che hanno privatizzato i loro gestori nazionali di telecomunicazioni mantenendo il controllo azionario pubblico, Prodi ha privatizzato tutto (ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi) senza lasciare un nocciolo duro pubblico. Ora siamo tra gli ultimi paesi per tasso di digitalizzazione tra i paesi avanzati. Dal 1999 al 2004 Prodi è stato ricompensato diventando Presidente della Commissione Europea.

La verità è una sola: le telecomunicazioni dovevano restare sotto il controllo pubblico, come hanno fatto francesi e tedeschi e gli altri paesi europei. Prodi non doveva subire i diktat europei per entrare a tutti costi subito nell’euro.

Ma anche Draghi il privatizzatore ci mise del suo. Nel suo intervento sul Britannia, di fronte alla platea di finanzieri inglesi, il beniamino di Andreatta affermò: “I mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale strada per riportare la crescita”. Quanto bene sia venuto dalla subordinazione dei mercati all’Italia si è poi visto nel corso degli anni successivi. E’ ora che l’Italia cominci a ripensare la sua completa subordinazione ai mercati e allo spread.

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