di Enrico Masi

Qui la prima parte

Riprendo dal discorso dei 135mila condannati a un drammatico “Stay home”. Si scrive infatti “cure domiciliari” ma si legge “abbandonati al proprio destino”. I pazienti dovranno affrontare il Covid con un saturimetro, delle soluzioni reidratanti e altri prodotti di prima necessità inviati dai centri sanitari.

Oltretutto, quest’operazione ha diversi effetti collaterali. Nel caso di persone che vivono in famiglia, quello di estendere il contagio ai familiari che vivono sotto lo stesso tetto; al contrario, per chi vive da solo, in caso di un brusco peggioramento si rischia di morire in solitudine. Con un improvviso calo di saturazione a 90 o al di sotto di tale soglia e conseguenti difficoltà respiratorie, si sarà in grado di fare una telefonata per chiedere aiuto?

E sulle morti durante i domiciliari si è accesa la polemica. A settembre, la polizia ha svelato che nel mese di agosto c’erano state ben 250 morti sospette per Covid. E ci sono anche casi di persone che per errori di distrazione degli impiegati dei centri sanitari sono rimaste da sole fino alla fine. Già il 10 agosto, il primo partito di opposizione chiese conto al governo del numero delle persone decedute per Covid durante i domiciliari. Ma la risposta del ministero della salute, del lavoro e del welfare fu “non ne abbiamo idea” aggiungendo anche che gli enti preposti erano troppo oberati di lavoro per far fronte all’improvviso aumento di contagi.

Coi centri sanitari praticamente in tilt e 135mila “Nonomura Makoto” ai quali, di fatto, era stato negato il diritto a essere curati, sorge spontanea una domanda. Chi è stato a decidere questa strategia? Ci tengo a evidenziare che anche i vertici del partito di coalizione della maggioranza non ne sapevano nulla e hanno definito assurdo mettere alle cure domiciliari tutti quei pazienti che, seppur non in stato critico, risultavano bisognosi di ossigeno. E anche Omi Shigeru della Japan Community Health Care Organization, che è in contatto giornaliero col governo, dichiara di non essere stato consultato.

Il ministero, per bocca di Tamura Norihisa, dichiarava: “Dato che si trattava di una mera questione di posti letto, è stato il governo a prendere questa decisione. Durante la quarta ondata in primavera nell’area del Kansai non c’erano più posti disponibili per i malati moderati in via di peggioramento e ora si sta per raggiungere la stessa situazione anche qui (a Tokyo)… si tratta di una misura necessaria per difendere la popolazione.”

Ma il ministro Tamura altro non era che un portavoce. A dettare la linea sulla strategia anti Covid è un gruppo di tecnocrati, all’interno dello stesso ministero, sotto la supervisione di Fukushima Yasumasa e del suo predecessore Suzuki Yasuhiro. A denunciare questo sistema, il direttore del Centro studi di governance clinica Kami Masahiro.

Ma prima di soffermarmi a dovere su di loro voglio esporre un altro degli errori commessi durante la lotta alla pandemia e del quale questi tecnocrati sono i mandanti. Vorrei parlare dei tamponi. Mentre il resto del mondo fa test a tappeto per scovare gli asintomatici prevenendo un’ulteriore espansione del virus, il governo giapponese non sembra essere interessato a farlo.

Si tratta solo di una subdola insinuazione? No. Gli esperti lo annunciavano a reti unificate sin dall’inizio della pandemia. Il 22 marzo 2020 il professor Oshitani durante il programma televisivo “Nhk Special” sulla lotta alla pandemia affermava che riguardo al Covid non era necessario scovare tutti i positivi, ma bastava concentrarsi sui cluster per tenere la situazione sotto controllo. E anche Omi Shigeru il 14 ottobre del 2020 dichiarava: “Non esistono prove che aumentando il numero dei test si possano limitare i contagi”. In altra sede aggiungeva che, essendo a corto di mezzi e personale, non era possibile fare test a tutti. Hanno poi diffuso il mantra secondo cui aumentando il numero dei test si rischia il collasso del sistema.

Per motivi di spazio continuo nel prossimo intervento

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