Il latte è considerato uno dei fiori all’occhiello della produzione dell’Alto Adige: gli yogurt, il burro e i formaggi provenienti dalla Provincia di Bolzano riempiono gli scaffali dei supermercati di tutta Italia. Eppure, nelle latterie altoatesine non viene lavorato solo il prodotto delle mucche e degli allevatori locali, ma il latte viene importato anche dall’estero e da altre Regioni italiane. Un mito che crolla, per via di “motivazioni economiche“, spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato David Röttgen, attivo nel settore del diritto ambientale. In Alto Adige nel 2018 tutte le latterie locali hanno introdotto contestualmente quelle che Röttgen definisce delle “quote latte provinciali“. Di fatto, hanno limitato la produzione di latte locale, “ben sapendo di poter acquistare il latte da fuori Provincia e all’estero a metà prezzo, forse anche a meno”. E il latte importato dove finisce? Il presidente della Federazione delle latterie altoatesine, Joachim Reinalter, a ilfattoquotidiano.it replica: “Tutti i prodotti contrassegnati con il marchio Qualità Alto Adige contengono al 100% latte altoatesino. Questo è controllato da un organismo di certificazione e certamente anche dalle autorità. Le consumatrici ed i consumatori possono essere completamente sicuri di acquistare l’Alto Adige acquistando un prodotto contrassegnato con il marchio qualità Alto Adige”. La Federazione ha sempre sostenuto, come anche l’ex assessore all’agricoltura della Provincia, Hans Berger, che il latte non altoatesino viene utilizzato solamente per i prodotti per conto terzi che poi vengono venduti dalla grande distribuzione. Sono quei prodotti che presentano, ad esempio, i marchi di catene e supermercati: sulla confezione non appare né il nome delle latterie né il marchio di qualità.
“Si può sperare che sia così, ma la prova fino ad oggi non è stata ancora fornita“, commenta Röttgen. Sul latte che arriva in Alto Adige dall’estero infatti non è mai stata fatta chiarezza, anche dopo le interrogazioni presentate dal consigliere provinciale dei Freiheitlichen, Andreas Leiter Reber, e le inchieste di Christoph Franceschini per il portale Salto.bz. Si è scoperto, ad esempio, che dalla banca dati del ministero della Salute risulta l’acquisto di latte da Belgio, Germania e Austria nel periodo tra il primo aprile e il 30 giugno 2017. Dati vecchi di ormai quattro anni, ma i camion carichi di panna belga o latte di altra provenienza ad oggi non nota continuano a varcare il Brennero. Quando il consigliere Leiter Reber ha chiesto più informazioni sulla quantità di latte importato, l’assessore Arnold Schuler ha dapprima replicato che la Provincia non era in possesso di questi dati. Poi sono stati comunicati solamente quelli relativi a tre latterie: Brimi, Vipiteno e Burgusio avrebbero importato 20 milioni di kg di latte nel 2018/19 e 18 milioni di kg nel 2019/20 da Austria e Germania. Ma “i dati numerici non tornano”, commenta Röttgen: “Stando alla relazione al bilancio del 2019, la sola latteria Vipiteno ha acquistato da terzi 21.084.069 kg di latte, di cui quantomeno 14.194.984 kg importati, se non addirittura di più”. “Se poi – aggiunge il legale – si sommano i quantitativi che Brimi indica nella propria relazione al bilancio, circa 15 milioni kg di latte, e i prodotti finiti e panna acquistati da Mila Latte Montagna per ben 12.189.777 euro, sorgono ulteriori perplessità circa la completezza dei dati forniti dalla Provincia di Bolzano”.
Interpellata da ilfattoquotidiano.it, la latteria Vipiteno comunica che “dato che in Alto Adige non abbiamo sufficiente latte bio nell’arco di tutto l’anno, la latteria quest’anno ha acquistato dall’estero solamente latte biologico certificato Bioland, per complessivi 1.125.900 kg“. Inoltre, aggiunge, “possiamo garantire che nei prodotti con il marchio ‘Qualität Südtirol’ è presente solamente latte dell’Alto Adige”. Allo stesso modo, la latteria Brimi dichiara che “nell’anno 2021 abbiamo importato finora 603.174 kg di latte dall’estero che è pari allo 0,57% di tutto il latte italiano elaborato nella nostra azienda”. “Il latte estero viene esclusivamente usato per produrre Private Label, quindi marchi terzi – specifica la latteria di Bressanone – per tutti i prodotti a marchio Brimi (che presentano il marchio ‘qualità Südtriol’), garantiamo 100% Latte Alto Adige”.
La Provincia detiene il marchio ma non fornisce dati – Tutte le latterie sopra citate, secondo la spiegazione della Federazione che le riunisce, usano latte 100% Alto Adige per i prodotti in cui compare il loro marchio. È strano però che la Provincia di Bolzano non possieda i dati sul latte importato. Infatti, la stessa Provincia è anche la detentrice del marchio “Qualità Südtirol” (Qualität Südtirol), che è sinonimo di “latte proveniente esclusivamente da masi altoatesini“, come si legge sul sito stesso della Federazione delle latterie. “Come autorità competente sul marchio qualità e per l’erogazione dei fondi comunitari per l’agricoltura avrebbero tutti i poteri per chiedere come stanno realmente le cose”, sottolinea Röttgen. Che aggiunge: “La Federazione si è subito messo sulla difensiva rispondendo che ‘dove c’è scritto Alto Adige, c’è latte 100% Alto Adige’, ma non hanno risposto alla domanda ‘quanto latte importate o acquistate da terzi?'”. A quel punto sono sorti i primi dubbi: “La Provincia ha delegato il controllo a soggetti terzi – spiega l’avvocato – ma alla fine c’è una catena di deleghe e non appare chiaramente comprensibile chi sia il vero controllore e cosa esso esattamente faccia”.
Il report: “Almeno 50 milioni di latte importato nel 2019” – Alla domanda sulle esatte quantità di latte che le latterie sudtirolesi importano da fuori la Provincia di Bolzano, la Federazione e il presidente Reinalter non hanno risposto a ilfattoquotidiano.it. “La Federazione latterie Alto Adige ha sempre detto di non avere i dati e quindi non li ha forniti, ma poi è emersa l’esistenza di un report annuale della Raiffeisenverband, di cui la Federazione latterie è socia, da cui risulta che nel solo anno 2019 sono stati acquistati presso terzi 54.936.000 kg di latte. Si tratta non solo di quasi il triplo rispetto al dato fornito dalla Provincia, ma di almeno un settimo della produzione complessiva altoatesina, che è sui 400 milioni di kg. Ma si può escludere che la quantità effettivamente acquistata all’estero non sia ancora maggiore?”, si chiede Röttgen. “E si acquista solo dall’Austria e dalla Germania?”. A breve i dati potrebbero diventare finalmente pubblici: a settembre è stato approvato il nuovo decreto che in ambito di tracciabilità dispone l’obbligo per le aziende di indicare l’origine esatta di tutto il latte. “Esisteva già un decreto del 2015 che dava delle indicazioni di massima, infatti esiste già presso il ministero della Salute una lista delle forniture di latte”, commenta l’avvocato. Quindi, “l’obbligo di tracciatura esiste da 6 anni e si dovrebbe sapere da dove viene il latte, questi dati dovrebbero essere già disponibili. Quanto meno la Provincia dovrebbe averli“.
La Federazione: “Latte importato usato solo per altri marchi” – L’altra domanda che resta inevasa riguarda il controllo sul latte che dovrebbe essere 100% Alto Adige: “Questo è controllato da un organismo di certificazione e certamente anche dalle autorità”, replica Reinalter. Che aggiunge: “Un acquisto di latte da fuori Provincia talvolta è necessario per coprire periodi con poca produzione altoatesina (soprattutto d’estate). Questo latte viene trasformato in latticini dove non è richiesto latte altoatesino (per esempio per i marchi della grande distribuzione) e che vengono prodotti per sfruttare meglio gli impianti di produzione”. Ma, sottolinea Röttgen, “questo presuppone che ci siano linee di produzione separate”, per ciascun tipo di latte: intero, magro, biologico, ecc. “Se non hanno più linee produttive, allora fanno un miscuglio di tutto e poi non si riesce più a capire da dove viene il latte. Quindi, loro lo dicono, ma chi controlla?“, si chiede l’avvocato. La latteria Vipiteno comunica che “per poter garantire che nei prodotti che riportino il marchio ‘Qualität Südtirol’ ci sia solamente il latte dell’Alto Adige, la produzione viene fatta su apposite linee di produzione, con il relativo packaging. In base al nostro sistema di tracciabilità possiamo garantire e documentare che tutto questo avviene in base alle vigenti normative”. Anche Brimi spiega che “per permettere la distinzione dei prodotti applichiamo numerose pratiche di separazione, come per esempio l’utilizzo di tank di stoccaggio latte dedicati per il latte estero, pianificazione delle produzioni in modo da non mischiare le varie tipologie di prodotto, utilizzo di sistemi gestionali e tecnologici che ci permettono la completa tracciabilità e controllo della movimentazione del latte, dei vari semilavorati e del prodotto finito”. L’avvocato Röttgen però sottolinea anche un altro aspetto: “Il consumatore in Italia non sa che c’è un sigillo di qualità ‘Alto Adige’. Se vede uno yogurt con sopra l’immagine delle montagne sudtirolesi, pensa che il prodotto venga da lì. Eppure, se non c’è il sigillo di qualità è la evidente conferma che il latte non viene al 100% dall’Alto Adige”.
I limiti alla produzione introdotti nel 2018 – A parere dell’avvocato, inoltre, “a fronte di tali quantità di acquisti di latte da terzi, ambientalmente e socialmente non è sostenibile che le latterie altoatesine abbiano al contempo limitato le quantità di latte che i propri soci allevatori altoatesini possono fornire alle latterie di cui essi sono soci fondatori”. Gli allevatori sudtirolesi non parlano di questa situazione perché senza le cooperative non saprebbero a chi vendere il loro latte. Solo alcuni di loro hanno intrapreso un’azione giudiziaria, contestando l’introduzione di quelle che Röttgen definisce le “quote latte provinciali“. Nel 2018 nel giro di pochi mesi tutte le latterie altoatesine, infatti, hanno introdotto regole per la produzione di latte, limitando quest’ultima alla disponibilità di terreno foraggero dell’allevatore: non possono tenere più di 2,5 ‘Unità Bestiame Adulto (UBA)’ per ogni ettaro – e in alcuni casi anche meno.
“Una esternalizzazione degli effetti ambientali” – La motivazione ufficiale è la sostenibilità ambientale, ovvero preservare la biodiversità limitando gli inquinamenti dai reflui zootecnici tutt’ora sparsi sui campi. “La giustificazione all’apparenza potrebbe sembrare ‘verde‘, ma è del tutto evidente che la vera ratio è di diversa natura, essenzialmente economica: all’allevatore locale devi pagare il latte circa 60 centesimi, all’estero lo trovi a metà prezzo”, commenta Röttgen. Che poi evidenza una contraddizione: “Perché le latterie limitano la produzione locale e poi al contempo importano il latte non locale? Non è accettabile sotto profili ambientali, si tratta di una esternalizzazione degli effetti ambientali. Cioè, si preferisce che le mucche inquinino altrove e non in Alto Adige, senza considerare il trasporto. Ma anche socialmente non è accettabile perché si penalizzano gli allevatori altoatesini, cioè i soci fondatori delle stesse cooperative del latte”.
“Le quote latte vestite di una motivazione green” – All’occorrenza si acquista il latte dall’estero, mentre la produzione all’interno della Provincia di Bolzano è stata limitata: “Se si produce più di quanto fissato, dal 2020 scattano le sanzioni e dal 2024 l’esclusione dalla latteria di appartenenza”. Questo nonostante la qualità degli allevamenti e del latte prodotto in Alto Adige sia verificata e verificabile, mentre poco si sa su quello che arriva dall’estero: “In Alto Adige c’è il divieto di utilizzo di Ogm, entrato in vigore con una legge provinciale. Se poi però il latte viene da fuori, non si può sapere come sono state alimentate quelle mucche, se abbiano mangiato Ogm o come in generale siano state allevate”. “Essenzialmente in Alto Adige hanno reintrodotto delle quote latte provinciali, le hanno solo vestite di una motivazione ambientale”, riassume Röttgen. “Di fatto in Alto Adige gli allevatori purtroppo sono ancora incentivati a spandere grandi quantità di reflui specie nei fondovalle – e sui campi foraggieri da cui proviene il famoso latte fieno. Ma oggigiorno le migliori pratiche agricole prevedono di conferire i reflui zootecnici ad impianti di biogas nei quali si genera energia rinnovabile e biometano, destinabile all’autotrasporto sostenibile”. Röttgen sottolinea infatti che “il letame potrebbe essere gestito negli impianti di biogas altoatesini, e a Vipiteno esiste un impianto tra i più moderni in Europa, appena presentato alla Cop26″.
Dal canto suo, a ilfattoquotidiano.it il presidente della Federazione Reinalter dichiara che “il criterio UBA/ha risponde all’esigenza di assicurare che la produzione di latte rimanga legata al terreno/suolo, cioè alla genuinità delle condizioni di allevamento e di foraggiamento del bestiame e di conseguenza alla qualità del latte”. “Inoltre – aggiunge – ha la funzione di garantire il rispetto delle sempre più stringenti norme sulla tutela dell’ambiente e sulla sostenibilità”. A suo avviso, “non impone dei limiti quantitativi di produzione siccome ogni allevatore è libero di aumentare la propria produzione acquisendo la disponibilità di ulteriori terreni”. In Alto Adige, però, c’è una grande scarsità di terreno disponibile, tanto che il valore di un ettaro foraggero in zona Vipiteno si aggira tra i 250mila e i 300mila euro. L’avvocato Röttgen invece conclude che “non vi sono dunque ragioni ambientali che giustificano la introduzione delle quote latte provinciali. Le vere motivazioni non possono quindi che essere di diversa natura, legate all’abolizione delle quote latte UE nel 2015.” Nel 2016, ad un anno dalla abolizione delle quote latte europee, il deputato Svp Herbert Dorfmann in un’intervista pubblicata il 4 agosto su Südtiroler Landwirt aveva affermato che “la produzione (di latte, ndr) deve essere limitata”. In tale sede Dorfmann auspicava un’azione da parte delle latterie altoatesine che, infatti, nel 2018 si è perfezionata. “Un’operazione senza rischi per le latterie altoatesine che all’occorrenza acquistano il latte dall’estero”, conclude Röttgen.