Cultura

Lo scrittore e accademico Sergio Campailla: ” Negli scritti di Michelstaedter una fatata richiesta di assoluto”

di Mauro Del Corno

Sergio Campailla, docente di letteratura, scrittore e saggista è autore di diversi libri, alcuni dedicati alla figura e al pensiero di Michelstaedter come il recente “Un’eterna giovinezza. Vita e mito di Carlo Michelstaedter edito da Marsilio. Per Adelphi ha curato la pubblicazione dell’opera del filosofo goriziano.

Thomas Vasek esplora ed ordina le affinità, in effetti notevoli, tra il pensiero di Heidegger e quello di Michelstaedter. Affinità che l’autore sospetta essere eccessive per spiegarle solamente con il contesto culturale simile in cui le idee dei due pensatori si sono sviluppate o ad una medesima interpretazione di autori come Parmenide, Aristotele o Agostino. “La persuasione e la rettorica” viene terminato nel 1910, la prima edizione in tedesco è del 1999. Vasek ricostruisce però un possibile percorso, che coinvolge tra l’altro la famiglia del fisico Albert Einstein, attraverso cui gli scritti del filosofo goriziano potrebbero essere giunti nelle mani di Heidegger poco dopo la loro stesura. Lei che ha curato per Adelphi la pubblicazione delle opere di Michelstaedter e al pensatore goriziano ha dedicato doversi libri, cosa pensa in proposito? È davvero ipotizzabile che Heidegger abbia tratto ispirazione dall’opera del pensatore di Gorizia sviluppandone i concetti?
La ricerca di Thomas Vasek e’ seria e appassionata. Contiene una tesi esplosiva, quella di un’influenza esercitata da Michelstaedter su “Essere e tempo” di Heidegger, una tesi che sviluppa in un confronto sistematico, in una sorta di corpo a corpo tra i due pensatori. Trattandosi di uno studio che nasce da una sponda di lingua tedesca, è particolarmente interessante valutarne la portata e le possibili implicazioni. Bisogna tuttavia ricordare che già Joachim Ranke nel 1961 aveva pubblicato un saggio su Michelstaedter anticipatore di Heidegger, tradotto anche in italiano. Con Ranke conservo un carteggio significativo che risale agli anni Settanta. Ma Vasek va oltre Ranke. Supera il generico delle consonanze d’epoca e si sforza di dimostrare una lettura diretta. Nell’amplificazione giornalistica qualcuno ha parlato addirittura di plagio. “La persuasione e la rettorica” sarebbe stato letto da Heidegger, che ne avrebbe ricavato ispirazione senza però rivelarne la fonte. Appare chiaro che il libro contribuisce a rafforzare il mito di Michelstaedter, un giovane geniale di ventitré anni capace della performance più spettacolare.

La dimostrazione, affidata a un raffronto di temi e “figure di pensiero” si basa filologicamente su un dato: Argia Cassini, l’amata di Carlo nell’ultima fase e la destinataria delle liriche “I figli del mare” e “A Senia”, tradusse in tedesco “La persuasione e la rettorica”, almeno la prima parte sulla Persuasione, traduzione che la sorella di Carlo, Paula, cercò poi di diffondere spedendo il testo ai suoi interlocutori di riferimento, tra cui nientemeno che Albert Einstein, annesso alla cerchia familiare dopo il matrimonio con Fritz Winteler. In realtà, manca qualsiasi prova che Heidegger abbia letto quelle pagine. Argia tradusse soltanto la prima parte, non la seconda sulla Rettorica e non le Appendici critiche. Si tenga conto che nella mia edizione della Piccola Biblioteca Adelphi la prima parte contiene appena una cinquantina di pagine, tant’è vero che Giovanni Gentile recensendo l’edizione Vallecchi del 1922, a torto ma a ragione dal suo punto di vista, rimproverò la scarsa elaborazione in positivo dei concetti fondamentali. Ora invece quelle cinquanta pagine sarebbero state la scintilla per il fuoco freddo di “Essere e tempo”. Paradossalmente, bisognerebbe anche chiedersi, ammesso che Heidegger abbia conosciuto e saccheggiato la tesi di laurea del giovane e sconosciuto goriziano, se Michelstaedter si sarebbe riconosciuto nell’eredità’ di Heidegger, o se invece l’ avrebbe rifiutata come un’ulteriore forma dei “velami dell’oscurità”, con cui marcava la sua distanza da Hegel.

Comunque sia andata l’accostamento e il confronto con Heidegger proposti nel libro di Vasek confermano il grande valore delle pagine di Michelstaedter. Se oggi l’opera del filosofo goriziano è nota soprattutto grazie a Lei e agli editori con cui ha lavorato. Lei nel suo recente libro “Un’eterna giovinezza” parla di un ritorno di interesse “incredibile” nei confronti del filosofo goriziano, attestato anche da un proliferare delle traduzioni. Quasi che la sua opera toccasse corde molto sensibili del sentire contemporaneo. Eppure si tratta di scritti molto difficili, a tratti oscuri, sebbene non manchino illuminazioni quasi poetiche. Come si spiega dunque questo rinnovato interesse?
E’ un dato sorprendente della questione. Michelstaedter in vita non ha pubblicato niente, a parte alcuni articoli su giornali locali, è un postumo che invece di essere cancellato dal tempo che passa, come di solito accade, acquista via via forza e risalto. E’ vero, i suoi scritti sono difficili da leggere e da interpretare, infarciti di greco classico, le sue poesie a molti sembrano grezze, i suoi disegni sono stati sottovalutati come abbozzi di un apprendistato che non avrà un approfondimento. Eppure, il fascino della sua figura appare irresistibile, soprattutto ai giovani. Il fatto è che Michelstaedter non sta nella sua epoca ma la scavalca, dialoga con Platone e con i tragici greci ma si indirizza alle generazioni del futuro, a quanti non hanno messo ancora il loro dio nella loro carriera, come si legge nella dedica del “Dialogo della salute”.

Il suicidio a 23 anni. All’epoca si parlò di un “suicidio metafisico”, come se fosse stato un atto di radicale coerenza di pensiero. Eppure i lettori più attenti di Michelstaedter, Lei per primo, rifiutano questa lettura. In primo luogo perché il pensiero del filosofo goriziano non indica mai il suicidio come opzione ma indica piuttosto la strada, ardua, verso la rinascita ad una vita nuova e più autentica. Il gesto estremo sembrerebbe essere riconducibile a dinamiche psicologiche in parte imperscrutabili più che a valutazioni logiche e “razionali”, è così?
La formula del suicidio metafisico ha condizionato dall’inizio tutta la fortuna del caso Michestaedter. Una formula sensazionalistica, che ebbe la funzione di accendere l’interesse, ma non suffragata dai testi, che Giovanni Papini non aveva avuto il tempo di leggere. Quando, dopo le edizioni Formiggini, il tempo lo avrà, non riterrà conveniente correggere se stesso. Nell’opera di Carlo si possono rintracciare continue tentazioni di suicidio, ma non teorizzazioni del suicidio, alla stregua di un Egesia persuasore di morte. Personalmente, ritengo che un suicidio non avvenga mai per ragioni esclusivamente teoriche; la vita è sempre molto più complessa, nelle sue spinte e controspinte. Il suicidio appartiene alla cultura di un’ epoca come quella di inizio Novecento, ma è una sindrome velenosa quella che conduce allo scacco finale: nel caso di Carlo, uno stress intollerabile, l’essersi cacciato in un vicolo cieco scrivendo una tesi impresentabile a una commissione di professori universitari, la malattia venerea che è una minaccia montante e che è necessario nascondere e neutralizzare prima che sia troppo tardi. Si ricordi l’impressionante catena suicidaria che precede il tracollo di Carlo, in primis quello di Nadia Baraden e del fratello Gino, e che addirittura seguirà, come un sinistro destino. E ciò nonostante aveva ragione l’amico Vladimiro Arangio-Ruiz, Michelstaedter è un “incrementatore di vita”.

Le chiedo l’impossibile. Il pensiero di Michelstaedter è complesso e articolato e non è questa la sede per approfondirlo. Tuttavia le domando se sia possibile sintetizzare il messaggio fondamentale che “La persuasione e la rettorica” consegna a chi lo legge.
Il seme fertile di un pensatore e di un artista sta nella necessità delle sue contraddizioni più che nella sua astratta coerenza. Per Michelstaedter la vita e’ come un peso che pende, e pende verso il basso, all’infinito. Bisogna dunque fermarsi, realizzare l’autenticità non nel domani ma qui e ora, contro le mille seduzioni e finzioni della rettorica. Soltanto che fermarsi significa uscire dal tempo, entrare nella gioia di un orgasmo, in definitiva non essere più peso, sottrarsi alla legge di gravitazione. Michelstaedter ha fatto sentire con l’energia propria di una giovinezza fatata questa richiesta di assoluto, che ha una musica inconfondibile anche nel nostro tempo scettico.

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