È successo quello che tutti gli esperti dicevano sarebbe successo: lasciare zone del pianeta scoperte dalla vaccinazione è una roulette russa. Se non sono protette anche le zone più povere dell’Africa o dell’Asia non è protetto nessuno. Perché, come abbiamo visto, ovunque una variante si sviluppi, in un batter di ciglia arriva anche dall’altra parte del mondo. Dopo le notizie sullo sviluppo della nuova variante Emergency ed Oxfam hanno diffuso una nota congiunta in cui si legge: “A marzo scorso, abbiamo condotto un’indagine intervistando 77 epidemiologi da 28 paesi del mondo. La stragrande maggioranza di loro aveva dichiarato che se non si fosse aumentata la copertura vaccinale a livello globale sarebbero potute sorgere varianti del virus resistenti al vaccino. 2/3 di loro avevano avvertito che c’era solo un anno a disposizione per non vanificare l’efficacia dei vaccini e contenere le mutazioni del virus. Non vi sono ancora evidenze sulla pericolosità della nuova variante B.1.1.529, né sull’efficacia dei vaccini nel contrastarla, ma è certo che l’allarme diffuso oggi è frutto della politica miope con cui finora si è affrontato il tema dell’accesso ai vaccini nel mondo”

Secondo i dati del Fondo monetario internazionale sia Sudafrica che Botswana hanno acquistato dosi di vaccini sufficienti per un buon programma vaccinale (114% della popolazione nel caso del Botswana, 90% in quello del paese confinante). Il problema è che le consegne procedono a rilento e così, in entrambi i Paesi, è previsto che entro la fine del 2021 siano effettivamente disponibili fiale sufficienti per completare il ciclo vaccinale per appena il 39% della popolazione. Al momento in Botswana è pienamente vaccinato solo un abitante ogni cinque mentre in Sudafrica si arriva a stento ad uno su quattro.

Del resto finché i paesi più ricchi danno l’assoluta priorità a se stessi arrivando al punto di sequestrare le dosi già acquistate e destinate all’estero (come fatto soprattutto dagli Stati Uniti) questa condizione di disparità è destinata a perpetrarsi in eterno. Da canto loro le case farmaceutiche, molto semplicemente, danno la priorità a chi paga di più e prima. E cosi si arriva ai tragici dati sulla copertura vaccinale nei paesi più poveri e sui risultati del programma Covax che dovrebbe assicurare le dosi anche ai paesi più poveri. Il numero più allarmante riguarda i paesi subsahariani, dove vivono 770 milioni di persone, ed è immunizzato appena 4% della popolazione.

In teoria, Covax ha sottoscritto accordi per la consegna di 3,4 miliardi di fiale ma, al momento, ne sono state effettivamente consegnate a livello globale appena 540 milioni. Pfizer ha promesso oltre un miliardo di dosi ma ne ha recapitate al momento 121 milioni. Moderna si è impegnata per 252 milioni di vaccini, ne ha consegnati 15 milioni, il 6%. Meglio Astrazenca che ha fornito circa la metà dei 170 milioni di dosi promesse. Johnson & Johnson ha consegnato 2 milioni di fiale, l’1% dei 200 milioni promesse. Vanno appena un po’ meglio le donazioni, vale a dire quelle dosi pagate per intero alle case farmaceutiche e poi spedite ai paesi bisognosi, sono arrivate 163 milioni di fiale sui 623 milioni previste.

La situazione non cambierà senza interventi da parte degli Stati che pure hanno finanziato una gran parte della fase iniziale di ricerca sul vaccino, quella finanziariamente più rischiosa. La sola BioNtech che produce il vaccino con Pfizer ha ad esempio ricevuto oltre 400 milioni di euro dal governo tedesco. Anzi, Astrazeneca ha recentemente annunciato che smetterà di vendere vaccini al prezzo di costo e punterà quindi all’utile, poiché quella in corso “non è più una pandemia dopo che il virus è entrato in fase endemica”. Politica del profitto che invece è sempre stata perseguita dalle statunitensi Moderna e Pfizer. Quest’ultima ha da poco rivisto per la terza volta al rialzo gli incassi (36 miliardi di dollari sono nel 2021) e i guadagni garantiti dal vaccino.

Torna di attualità il tema della liberalizzazione dei brevetti sui vaccini come chiesto dall’Organizzazione mondiale della sanità e da un’ottantina di paesi capitanati proprio dal Sudafrica insieme all’India. La liberalizzazione consentirebbe di moltiplicare gli hub produttivi assicurando una disponibilità di vaccini maggiore e più distribuita. I paesi come Germania, Giappone e, al di là delle parole, Stati Uniti dove le case farmaceutiche hanno sede si sono però opposti a questa soluzione. Anche l’Italia si è schierata per il no. Mario Draghi peraltro non perde occasione per ricordare la necessità di assicurare una copertura vaccinale globale. Roma, tuttavia, non ha fatto nessun passo in questa direzione.

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