I depuratori hanno funzionato male o non c’erano proprio, e le fogne hanno scaricato direttamente nei fiumi Calore e Sabato, gravemente inquinati. Secondo la Procura di Benevento la colpa è di GeSeSa spa, la società che gestisce il servizio idrico integrato in diversi comuni dell’Ato 1, partecipata al 58% dal colosso Acea, al 38% dal Comune di Benevento e per il 4% da altri comuni. Società mista che ora va colpita al cuore, ovvero al portafoglio, con un sequestro di 78 milioni di euro in beni mobili e immobili, disposto oggi dal Gip. Perché, sostiene in sintesi l’accusa, “in GeSeSa si è pensato più al business, a discapito del bene comune della pulizia delle acque”. Ed ora bisogna restituire “l’ingiusto profitto della mala gestio”, ovvero i 78 milioni risparmiati evitando di investire per mantenere i depuratori efficienti e i fiumi puliti.
E’ l’ultimo sviluppo dell’indagine dei carabinieri del Noe di Napoli e del nucleo di polizia economica della Guardia di Finanza di Benevento sull’inquinamento dei fiumi del Beneventano. Indagine che nel maggio 2020 ha portato al sequestro preventivo di 12 impianti di depurazione gestiti da GeSeSa e all’iscrizione di 33 persone nel registro degli indagati, con l’applicazione di due misure interdittive nei confronti del responsabile della conduzione operativa degli impianti di depurazione e dell’assistente pianificatore della Gesesa, indagati per inquinamento ambientale, frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata, gestione illecita di rifiuti, scarichi di acque reflue senza autorizzazione e falsità in atti. Le interdizioni furono decise dal Riesame, dopo un primo rigetto del Gip, sul cui tavolo erano arrivate sei richieste di arresti domiciliari e due di divieto di dimora. Nel luglio scorso, il pm Assunta Tillo ha notificato 24 avvisi conclusa indagine.
Oggi il maxi sequestro economico nei confronti di Gesesa. Chiesto e ottenuto “per non avere adottato ed efficientemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire i reati contestati, commessi per conto, nell’interesse e a vantaggio della società dai suoi amministratori e da dipendenti che rivestivano, all’epoca dei fatti, funzioni di direzione o vigilanza nell’ente – si legge in una nota del procuratore capo Aldo Policastro – si è ritenuto che venivano tutelati soltanto gli interessi privatistici di carattere economico dell’azienda a discapito del bene comune rappresentato dalla necessità di evitare che reflui inquinati o comunque non conformi a legge finissero nei corsi idrici, risorse vitali per il nostro paese e oggetto dell’affidamento alla GeSeSA da parte dei Comuni della depurazione delle acque”. Le condotte illecite – secondo gli inquirenti – avrebbero consentito alla GeSesa di gonfiare la propria posizione patrimoniale grazie anche alla mancata realizzazione degli interventi di adeguamento necessari, e alla mancata corretta gestione del processo di depurazione, nonché di smaltimento dei rifiuti liquidi e di fanghi prodotti dal trattamento depurativo.