di Lucia Criscuolo*
Nei giorni scorsi il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nel corso di un’intervista ha affermato: “A noi serve più cultura tecnica, a partire dalle scuole. Soprattutto in un momento di trasformazione digitale velocissimo e impressionante come quello che stiamo vivendo. Fra dieci anni ci serviranno i digital manager per la salute, per l’energia, lavori che nemmeno esistono oggi. Qui il il problema è capire se continuiamo a fare tre, quattro volte le guerre puniche nel corso di dodici anni di scuola o se casomai le facciamo una volta sola ma cominciamo a impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata, un po’ più moderna a partire dalle lingue, dal digitale”.
Tali genericità e grave superficialità su un tema complesso, delicato e fondamentale come la formazione scolastica dei cittadini italiani sorprendono non solo perché ne è responsabile un ministro della Repubblica, al quale peraltro questa competenza non è stata affidata, ma perché egli è stato per qualche anno un docente universitario, dal quale ci si aspetterebbe dunque maggiore attenzione, precisione ed equilibrio, tanto più parlando in un contesto in cui si può essere facilmente fraintesi o strumentalizzati.
Non è allora difficile rispondere, come è stato già fatto più volte, osservando che da oltre dieci anni la storia – non solo antica – si studia, peraltro scarsamente e troppo spesso molto male, al massimo in due momenti nell’arco dei tredici anni di formazione scolastica pre-universitaria, e che comunque lo spazio orario riservato alla storia, anche negli ultimi anni delle superiori, è sempre stato limitato al massimo a due ore settimanali.
Forse il ministro avrebbe fatto meglio a domandarsi se i cittadini italiani debbano continuare a tollerare che una seria e aggiornata formazione tecnica dei loro figli, e sono tanti che vorrebbero averla, continui a essere vittima dell’insensibilità della politica nell’assegnare risorse, della pigrizia amministrativa nel distribuirle, della frequente inadeguatezza di strutture, laboratori e strumentazione, e troppo spesso perfino dell’obsoleta formazione e scarsa motivazione del personale che la dovrebbe impartire: sono mali che colpiscono tutta la scuola italiana, non solo gli istituti tecnici o professionali, e certo non per colpa della storia e nemmeno della filosofia o del latino.
Cancellare di fatto lo studio scolastico della storia è quanto hanno fatto e soprattutto continuano a fare non solo i regimi più rozzi e totalitari, ma anche quelli meno autenticamente avanzati. La Consulta Universitaria per la storia greca e romana non può dunque che replicare, con forza e assoluta convinzione, che la conoscenza del passato non può essere merce di scambio, tanto più quando essa, come gli eventi della storia romana evocati dal ministro Cingolani, è così direttamente legata all’identità culturale di ogni cittadino italiano.
Alla storia, che, come il ministro certamente sa, significa in greco “ricerca”, si deve rispetto e lo si deve a chi la studia, a chi la insegna e a chi vuole conoscerla sempre di più e meglio. La sua riconosciuta dignità scientifica, praticata con rigore e onestà, va difesa e promossa, la sua conoscenza garantita sempre e a tutti.
*ordinario di Storia Greca dell’Università di Bologna, Presidente della Consulta Universitaria per la Storia Greca e Romana