"Sono stato condannato in complicità nell'omicidio perché c’era lì il mio Dna, ma i documenti dicono che vi erano altre persone e che non sono stato io a infliggere le ferite fatali", le parole dell'ivoriano al Sun
Rudy Guedé, unico condannato per l’omicidio della studentessa Meredith Kercher, è tornato formalmente libero per fine pena, lo scorso 23 novembre, dopo aver scontato 13 anni. Ora l’ivoriano parla al Sun: “Avevo le mani insanguinate perché ho cercato di salvarla non di ucciderla”. Pur essendo stato l’unico condannato per l’omicidio – “in concorso” con persone rimaste sconosciute – e non negando la sua sua presenza nella casa del delitto, compiuto a Perugia la sera del primo novembre del 2007, Guedé ha sempre negato ogni responsabilità. Al tabloid britannico dice: “Mi rivolgo alla famiglia Kercher e dico quanto io sia dispiaciuto per la loro perdita. Ho scritto loro una lettera ma è troppo tardi per chiedere scusa di non aver fatto abbastanza per salvare Meredith. Il tribunale ha accettato il fatto che ho cercato di salvarla tamponando le ferite con degli asciugamani. Sono stato condannato in complicità nell’omicidio perché c’era lì il mio Dna, ma i documenti dicono che vi erano altre persone e che non sono stato io a infliggere le ferite fatali”. Incalzato nelle domande, precisa: “Come ho già detto, (le carte) affermano che c’erano altri e che non ho inflitto le ferite. Io so la verità e anche lei la sa“. Il riferimento è ad Amanda Knox. Proprio l’americana aveva scritto una lunga lettera in occasione del fine pena di Guedé: “L’uomo che ha ucciso Meredith Kercher e mi ha accusato ingiustamente, è ora libero. Come pensate che debba sentirmi?“.