Quando i palestinesi vedono avvicinarsi le macchine gialle e nere, sanno che di lì a poco resteranno senza casa.
Quei macchinari di distruzione sono fabbricati da un gigante delle costruzioni del Regno Unito, la JCB, e vengono usati nei Territori palestinesi occupati per espandere la già ampia rete di insediamenti illegali israeliani.
La JCB (la denominazione formale è JC Bamford Excavator Limited) è un’azienda privata che ha sede a Rocester, nello Staffordshire. Attraverso il suo agente in Israele, Comasco Ltd, vende una serie di prodotti a una lunga lista di clienti, fornendo anche i servizi di manutenzione. Tra questi clienti figura anche il ministero della Difesa. Un rapporto di quasi cento pagine realizzato da Amnesty International descrive l’uso che viene fatto dei prodotti della JCB nei Territori palestinesi occupati. Soprattutto di uno: la terna (backhoe loader), una macchina usata per eseguire lavori di scavo, di riporto e di movimentazione di materiale e che dispone di una pala sul lato anteriore e di un braccio escavatore su quello posteriore. Insieme al rapporto, Amnesty International ha diffuso una mappa interattiva che descrive decine di casi in cui, negli ultimi anni, i macchinari della JCB sono stati usati per demolire abitazioni e strutture agricole, distruggere le condotte idriche e sradicare ulivi e altri alberi: tutte proprietà palestinesi.
Nei 54 anni di occupazione militare da parte delle forze israeliane, decine di migliaia di abitazioni e altre proprietà palestinesi sono state demolite e migliaia di palestinesi sono risultati sfollati. Solo nei primi nove mesi del 2021, sono state demolite 673 case e strutture e sono stati sfollati quasi mille palestinesi. In oltre mezzo secolo le autorità israeliane hanno trasferito in Cisgiordania e a Gerusalemme Est quasi 700mila coloni in quelle che le Nazioni Unite hanno chiamato “evidenti violazioni del diritto internazionale umanitario”. Il mese scorso Israele ha approvato la costruzione di altre 3100 abitazioni per i coloni.
Amnesty International ha scritto alla JCB segnalando che la mancata azione per impedire l’uso dei suoi macchinari nelle violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati contrasta con le responsabilità che gli standard del diritto internazionale prevedono a carico delle imprese. La JCB ha risposto picche: non opera nei Territori palestinesi occupati ma si limita a vendere i suoi prodotti a Comasco Ltd. e dunque non si sente responsabile dell’uso che successivamente ne viene fatto. Una risposta pilatesca. Tra l’altro la JCB dispone di un software di diagnostica (“LiveLink”) che le consente, o meglio le consentirebbe, di rintracciare ogni sua macchina, vedere come viene usata e anche disattivarla da remoto.
Già nel 2020 Amnesty International si era occupata della JCB: aveva scritto all’allora ministro del Commercio internazionale del Regno Unito, James Cleverly, dopo che insieme ad altre due (Opodo e Greenkote) era stata inserita in un elenco delle Nazioni Unite delle 112 aziende che svolgono attività economiche “sostanziali e materiali” negli insediamenti israeliani.