FATTO FOOTBALL CLUB - Se anche oggi - come già successo nel 2018 con Chievo e Cesena - la montagna delle accuse dovesse partorire il topolino di una misera penalizzazione, allora verrebbe sdoganata definitivamente l'odiosa pratica delle plusvalenze fittizie. Un malcostume di cui i bianconeri hanno certamente abusato (con Paratici celebrato dalla stampa come il mago di certe operazioni), ma che è praticato da quasi tutte le società nostrane
Punirne uno per educarne cento. Meglio ancora: punirli tutti per dare una lezione esemplare. Perché le plusvalenze non sono un vizio solo della Juventus. È uno scandalo che va avanti da anni in Serie A, dove tutti sapevano tutto e nessuno ha fatto davvero nulla. Almeno fino ad oggi. Ora l’inchiesta della Procura di Torino – che è molto più ampia perché si accompagna all’indagine della Consob (che vigila sulle società quotate in Borsa, quali appunto i bianconeri), ai fari accesi da mesi dalla Covisoc (l’organo di controllo finanziario della Figc), e magari potrebbe allargarsi a macchia di leopardo in tutta Italia se anche le altre Procure decidessero di aprire un fascicolo – è la grande occasione per ripulire il calcio italiano. Oggi mezza Italia del pallone “gode” nel vedere i massimi vertici bianconeri, dal presidente Andrea Agnelli in giù, sbattuti nel registro degli indagati. La Juve è senz’altro una delle squadre che ha abusato in maniera più smaccata di questo malcostume, con una certa complicità anche della stampa che oggi chiede rigore (ma ieri incensava il dg Paratici come “mago delle plusvalenze”, invece di criticarne le operazioni). Sarebbe però sbagliato pensare che la questione riguardi solo la Juve. Anche perché le plusvalenze sono come l’amore, si fanno sempre in due: infatti le squadre citate nel dossier preparato dalla Covisoc sono svariate, e ci finiscono dentro anche club virtuosi come il Napoli.
Secondo i numeri del Report Calcio, prima dell’emergenza Covid le plusvalenze avevano sfondato quota 750 milioni all’anno, in media il 20% del fatturato dei club. Con queste cifre non può essere solo il problema della Juventus. Semmai è il trucco con cui l’intero carrozzone è andato avanti per anni, incosciente incontro al burrone, perché gonfiando ad oltranza i bilanci prima o poi sarebbero finiti i soldi, il flusso di cassa, visto che dietro le plusvalenze fittizie che aggiustano i conti non ci sono risorse vere. Ed è ciò che è successo nell’ultimo anno, a causa della mazzata finale del Covid. Il punto è se questo scandalo, il bubbone finalmente scoppiato, servirà o no a mettere fine al fenomeno. Il rischio che la grande inchiesta si risolva in una bolla di sapone c’è. In fondo è già successo una volta: nel 2018 la Procura Figc allora diretta da Giuseppe Pecoraro aveva portato in tribunale Chievo Verona e Cesena, rimediando però appena tre punti di penalizzazione per i veneti (nulla ai romagnoli già falliti). I giudici sancirono che era di fatto impossibile quantificare il valore oggettivo di un giocatore e quindi dimostrare l’illecito. Lo stesso problema se lo ritroveranno pure i pm di Torino.
Oggi però è il clima ad essere diverso. Innanzitutto perché l’inchiesta non riguarda una piccola formazione di provincia già mezza fallita, ma la squadra più tifata e titolata d’Italia. E poi perché di mezzo ci sono Consob, magistrati e Finanza, che hanno ben altri strumenti rispetto a quelli limitati della FederCalcio. Nel decreto di perquisizione gli inquirenti ad esempio scrivono di avere “indizi precisi e concordanti per ritenere che (…) si sia di fronte a operazioni sganciate dai valori di mercato e attestanti ricavi in ultima istanza fittizi”. A questo ad esempio potrebbero servire le intercettazioni, da cui può emergere la prova del dolo. È così che l’inchiesta può fare il salto di qualità ed inchiodare i dirigenti alle loro responsabilità, che tutti conoscono (alcuni trasferimenti degli ultimi anni sono stati davvero delle barzellette) ma che rimangono difficili da dimostrare. Questa inchiesta è una grande chance per intervenire, una volta per tutte. Da una parte con delle sanzioni, perché chi ha sbagliato, chi ha truccato i conti deve pagare. Dall’altra con un provvedimento normativo della Federazione, per debellare il fenomeno: visto che non si può abolirlo (la plusvalenza è un istituto del codice civilistico), si deve almeno neutralizzarlo, magari escludendo le plusvalenze senza flusso di cassa dai parametri per l’iscrizione al campionato in modo da scoraggiarne l’abuso. Non si può perdere quest’occasione e il momento storico favorevole. Anche perché in caso di buco nell’acqua, in futuro potrebbe andare peggio: se anche stavolta come nel 2018 la montagna partorirà il topolino e i dirigenti la passeranno liscia, sarà come sdoganare definitivamente le plusvalenze e garantirne l’impunità. E allora altro che Rovella a 18 milioni, sì che ne vedremo delle belle.