Tra i corridoi di Montecitorio dicono che si è trattato di un Ddl Zan volume due, nel senso di una seconda edizione del blitz dei renziani per affossare una norma del centrosinistra. Questa volta, però, sul piano c’era un tema delicato solo per i parlamentari: la legge che regola l’attività di lobbying per i decisori pubblici. Una norma attesa da anni visto che il fenomeno delle revolving doors, le porte girevoli tra politica e affari, rappresenta un vero e proprio vulnus dei meccanismi democratici. E’ su questa legge che la maggioranza si è spaccata in commissione Affari costituzionali della Camera, con i renziani che hanno votato insieme a Forza Italia cercando di affossare uno degli elementi principali della legge. Sul quale c’era anche il parere positivo del governo, espresso dalla sottosegretaria Deborah Bergamini, che è un’esponente di Forza Italia. Il voto contrario di renziani e berlusconiani, però, non ha mandato sotto la maggioranza: la norma è passata ma solo grazie all’assenza di parecchi deputati della Lega. Ma andiamo con ordine.
Il periodo di raffreddamento – La legge che punta a regolare le attività di lobbying dei politici nasce da tre proposte diverse: una dei 5 stelle, una d’Italia viva e una, molto più generica, del Pd. Nell’agosto scorso la commissione ha adottato un testo base preparato dalla relatrice Vittoria Baldino dei 5 stelle. Quel provvedimento, tra le altre cose, prevede la nascita di un registro dei portatori d’interesse al quale i lobbisti che hanno rapporti con la pubblica amministrazione saranno obbligati a iscriversi. La norma, inoltre, prevede un periodo di cooling-off, un periodo di “raffredamento” che separa l’incarico pubblico da quello privato: nei tre anni successivi alla fine del mandato i decisori pubblici non si sarebbero potuti iscrivere al registro dei portatori d’interessi. Il divieto valeva per i membri del Parlamento e del Governo, i presidenti, gli assessori e i consiglieri regionali, gli amministratori di città con più di 300mila abitanti e i membri delle autorità indipendenti, compresa la Banca d’Italia. La parte che disciplina il periodo di “raffreddamento” è uno dei punti principali della legge. E infatti proprio su quell’elemento erano arrivati emendamenti da tutte le forze politiche.
La norma light – Dopo una serie di riunioni, dunque, la scorsa settimana Baldino aveva proposto una riformulazione su cui il governo aveva dato parere positivo. Si tratta di una modifica che nei fatti annacqua la norma: il divieto d’iscrizione al Registro dei portatori d’interesse viene abbassato a un solo anno per i membri del Governo nazionale e regionale, mentre non esiste per i parlamentari e tutti gli altri soggetti che non possono condurre attività di lobbying solo durante il mandato parlamentare. Nonostante tutto, però, Italia viva ha deciso di votare contro questa norma insieme a Forza Italia. Grazie al fatto che in quel momento in commissione erano presenti pochi esponenti della Lega, però, la norma è passata comunque. “Non vogliamo credere che Italia Viva si presti al gioco di Forza Italia e di tutto il centrodestra di sabotare una legge sulla quale c’è molta attesa e attenzione. Anche la Commissione europea ci ha richiamato per la mancanza di una disciplina sulle lobby”, dice la 5 stelle Baldino.
I renziani votano contro – Per motivare il suo voto contrario, invece, la renziana Silvia Fregolent ha contestato anche l’esclusione dei dirigenti di enti di diritto privato che ricevono finanziamenti pubblici. “Il dirigente di una pro loco che è un ente di diritto privato viene escluso se riceve dal Comune 100 euro per organizzare la sagra del Paese. Le norme non si scrivono in modo così impreciso”, ha attaccato Marco Di Maio, capogruppo di Iv in Commissione. E dire che la stessa Fregolent aveva presentato un emendamento ancora più ristrettivo rispetto alla formula light dei 5 stelle: imponeva un anno di “raffreddamento” per tutti, sia gli ex esponenti di governo che gli ex parlamentari. Come mai dunque i renziani hanno votato contro una norma persino più blanda rispetto a quella che avevano presentato loro? Qui è bene sgomberare il campo da ogni equivoco: la legge non avrebbe comunque colpito direttamente le attività del senatore Matteo Renzi. Per il semplice fatto che il leader d’Italia viva non è rappresenta gli interessi di aziende private ma si occupa di conferenze. Il fatto che venga retribuito da Stati esteri non è dunque un elemento che sarebbe stato sanzionato dalla nuova legge sulle lobby.
Le prove generali per il Colle – E’ per questo che in ambito parlamentare il voto contrario dei renziani a una norma che aveva il parere positivo del governo viene letto come un gesto politico. L’obiettivo è sempre lo stesso: le prove generali per il Quirinale. E infatti, col rientro in aula degli esponenti del Carroccio, l’asse composto dalla Lega, Fdi, Forza Italia e Italia viva ha mandato sotto la maggioranza di governo, bocciando un emendamento di secondaria importanza: la modalità con cui i portatori d’interesse possono incontrare i decisori pubblici. Dopo che la maggioranza è andata sotto, il presidente della commissione, Giuseppe Brescia, ha chiesto lealtà: “Si sono registrati degli strappi problematici nella maggioranza perché una parte di essa non vuole proprio questa legge. M5s è anche andato incontro a una serie di richieste, perché capisce che non votiamo da soli la legge, ma non basta mai. Speriamo che dopo altre riunioni si risolva, ma è inaccettabile che in Conferenza dei capigruppo si dia l’assenso a portare il testo in Aula, salvo poi mettersi di traverso in Commissione. Chiediamo lealtà ai partiti di maggioranza”. Pure Stefano Ceccanti del Pd attacca: “Il problema non è più di merito, Italia viva vuol far pesare i propri voti, anche in vista del voto per il Quirinale”.
Lo speciale del fatto.it – Il rischio è che una volta approdata in aula la legge sulle lobby venga impallinata dall’asse composto dal centrodestra e dai renziani. “Ovunque ovunque esista una normativa che disciplini i rapporti tra un portatore d’interessi e un decisore pubblico, vi sia anche una qualità migliore delle leggi emanate. Ed è proprio il settore stesso che chiede a gran voce di avere regole chiare, in modo da distinguere chi lavora professionalmente dai ‘faccendieri’ di turno”, commenta Francesco Silvestri, primo firmatario della proposta del M5s. Al fenomeno delle porti girevoli tra politica e affari ilfattoquotidiano.it ha dedicato uno speciale. Con una serie di articoli e inchieste si documenta come le revolving doors siano una delle più deleterie pratiche che possono minare la trasparenza, l’integrità e l’equità delle istituzioni. Un fenomeno sfuggente, quasi sempre legale, spesso sottovalutato o ignorato dall’opinione pubblica nonostante sia causa di enormi conflitti d’interesse. E’ per questo motivo che una legge è fondamentale. Soprattutto ora che ci sono da spendere i miliardi del Recovery.