“Mio padre non è stato investito da un treno“. A dirlo è Alessandro Di Gangi, figlio di Salvatore, il 79enne boss di Cosa nostra trovato senza vita sabato 27 novembre a Genova, riverso su un binario ferroviario nella galleria tra le stazioni di Brignole e Principe. I familiari hanno nominato un perito per partecipare all’autopsia disposta dalla Procura: Di Gangi junior spiega di aver appreso dalla polizia ferroviaria che il macchinista del treno si sarebbe accorto del corpo, fermandosi prima di investirlo e dando l’allarme. Il boss, detenuto nel carcere di Asti, era stato rimesso in libertà su disposizione della Corte d’Appello di Palermo, che aveva sostituito la sua condanna a 17 anni per associazione mafiosa (poi ridotti a 13 anni e 4 mesi) con gli arresti domiciliari, che avrebbe dovuto scontare a Sciacca. “Ma della scarcerazione noi familiari non siamo stati avvisati“, lamenta il figlio, “non è arrivata alcuna telefonata, non lo avremmo certamente abbandonato, anche perché mio padre era molto malato. È dal 2017 che presento istanze (tutte respinte) affinché gli venissero concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute, è chiaro che se fossimo stati informati ci saremmo precipitati per andare a prenderlo”. Ipotizza dunque che non siano state osservate le procedure corrette, chiarendo che il padre era affetto da diabete, che la famiglia ritiene essere stata la vera causa della sua morte. “Ogni giorno veniva sottoposto a 4 somministrazioni di insulina“.

Di Gangi senior, aggiungono i familiari, aveva deficit di tipo cognitivo e spazio-temporale che non lo rendevano autosufficiente in termini di capacità di discernimento, e dunque aveva bisogno di seguire delle apposite terapie farmacologiche. “Eppure – osserva il figlio – appena fuori dalla prigione è stato infilato dentro ad un taxi che lo ha accompagnato alla stazione ferroviaria di Asti”. Stando alla ricostruzione dei fatti, tuttora al vaglio della magistratura, il boss ha raggiunto la stazione di Genova Piazza Principe, dov’è salito su un altro treno diretto al Sud, da cui però è stato fatto scendere perché sprovvisto di green pass. È a questo punto che secondo la famiglia ha perso l’orientamento, rimanendo per ben diciotto ore a girovagare sui binari. Per verificare questa circostanza la polizia ferroviaria ha acquisito e sta visionando i filmati della videosorveglianza.

Chi era il boss trovato morto – Salvatore Di Gangi è stato considerato a lungo il reggente di Cosa nostra nell’Agrigentino, nonché uno dei fedelissimi del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina. E poteva vantare frequentazioni di alto livello. Indagando sulla sua cosca, negli anni Ottanta i Carabinieri si imbatterono nella Xacplast srl, una ditta di “produzione e lavorazione di materiali plastici” partecipata al 50% dalla cognata di Di Gangi, Laura Marino, al 10% dalla sua guardia del corpo Accursio Dimino e al 40% da Massimo Maria Berruti. Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza, è stato commercialista e poi avvocato della Fininvest di Silvio Berlusconi, nonché deputato per Forza Italia e il Popolo della Libertà tra il 1996 e il 2013. Nel 1994 Berruti era stato il “frontman” della campagna elettorale azzurra in provincia di Agrigento, dove trascorreva le estati nella sua villa, situata proprio a Sciacca. Nel 1988 la Xacplast aveva cambiato oggetto sociale e statuto, diventando “Maratur”, un’agenzia di viaggi partecipata, questa volta, da Berruti, la moglie di Di Gangi Vincenza Bono e un altro “uomo d’onore” vicino al boss, Vincenzo Leggio. Interrogato dalla pm di Palermo Maria Teresa Principato, nel 1995 Berruti aveva ammesso di conoscere “superficialmente” Di Gangi, dicendo di averlo incontrato tre o quattro volte ma di essere all’oscuro delle sue attività mafiose, e attribuito le sue partecipazioni nelle società Xacplast e Maratur a normali dinamiche d’affari.

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