In un dossier di 443 pagine i tecnici di Palazzo Madama analizzano articolo per articolo la legge di Bilancio. E rilevano per esempio che inserire i dispositivi di protezione individuale e i reagenti come investimenti in “edilizia sanitaria” rappresenta “una dequalificazione della spesa”. Dubbi sulla quantificazione dei fondi per l'immunizzazione, visto che i negoziati con le aziende produttrici sono stati tenuti nella più totale riservatezza
Mascherine e dispositivi di protezione individuale contabilizzati come investimenti in “edilizia sanitaria”. Quasi due miliardi di euro per l’acquisto di vaccini e farmaci Covid senza fornire alcuna informazione su costi e quantitativi. È il Servizio Bilancio del Senato a mettere in luce più di una criticità sulla legge di Bilancio per il 2022 varata dal governo Draghi che affronta le ultime curve in Parlamento. In un dossier di 443 pagine i tecnici di Palazzo Madama analizzano articolo per articolo il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e il bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024”.
Si scopre così che anche il governo dei tecnici, ogni tanto, inciampa sui numeri. Per il prossimo anno vengono per esempio previsti 860 milioni di euro “al fine di costituire una scorta nazionale di dispositivi di protezione individuale (DPI), di mascherine chirurgiche, di reagenti e di kit di genotipizzazione” all’interno di un comma riguardante l’edilizia sanitaria. È l’articolo 93 che prevede il “finanziamento del programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico” degli ospedali italiani. I fondi – per la verità quasi mai spesi né ripartiti fra le Regioni da quando sono stati istituiti nel 1988, nell’ultimo grande piano di edilizia sanitaria in Italia prima del Pnrr – sono stati aumentati da 32 a 34 miliardi di euro. Di questi 860 milioni vengono destinati a mascherine e Dpi per il “Piano strategico operativo nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023” e ne viene autorizzata la spesa “a valere sul finanziamento del programma di edilizia sanitaria vigente”. Gli specialisti di finanza pubblica del Senato si domandano come mai “l’utilizzo delle risorse in questione di conto capitale (per investimenti NdR)” vengano utilizzati “anche per l’acquisizione di DPI, mascherine chirurgiche, reagenti e kit di genotipizzazione (oneri di parte corrente)” finendo per rappresentare “una dequalificazione della spesa”. Per dirla con Mario Draghi: sarà debito buono o debito cattivo?
Il governo poi ha messo nel 2022 1,85 miliardi da “destinare all’acquisto dei vaccini anti SARS-CoV-2 e dei farmaci per la cura dei pazienti con Covid-19”. La relazione tecnica precisa anche che la “stima è stata elaborata in considerazione del costo dei farmaci e delle dosi di vaccino prodotte dalle aziende farmaceutiche per le quali sono stati già assunti impegni a livello comunitario, nell’ambito delle procedure di acquisto centralizzate gestite dalla Commissione europea”. Nessuno però sa quanti vaccini o farmaci si potranno acquistare con quei soldi visto che i negoziati sono stati tenuti nella più totale riservatezza sia da Bruxelles quanto da Roma. Solo che ora a domandare quanto costino davvero i vaccini di Pfizer, Moderna e J & J c’è anche l’Ufficio di Bilancio che deve fornire documentazione interna agli organi parlamentari e ai suoi componenti. “Al fine di verificare la quantificazione, sarebbe opportuno fornire i dati sui costi di farmaci e vaccini – scrivono a chiare lettere – e i quantitativi che si intende acquistare, a maggior ragione visto che la Relazione Tecnica fa riferimento a impegni già assunti per cui questi dati dovrebbero essere noti”.
I capitoli sulla sanità affrontano poi il tema delle liste d’attesa generate dal Covid. Un maxi problema per il Servizio Sanitario Nazionale e i pazienti d’Italia. Tanto che l’Istat ha già dichiarato di non poter misurare oggi l’impatto della pandemia sulla salute degli italiani sul lungo periodo mentre la Corte dei Conti ha parlato di danni “poco quantificati” che deriveranno dal peggioramento delle condizioni di salute delle parti più fragili della popolazione per l’impossibilità di mantenere e rispettare gli screening e i tempi per le cure. Solo a titolo di esempio: secondo la Società Italiana di Cardiologia Interventistica, che ha condotto dei monitoraggi su campioni vasti di centri di emodinamica, nei mesi più duri del 2020 si è osservata una riduzione dal 70% fino ad oltre il 90% delle attività, a seconda della tipologia di interventi. Ma gli impatti più pesanti sono sui pazienti cronici: secondo il report presentato il 23 novembre da Salutequità, a causa della pandemia si sono ridotte infatti di un terzo le visite di controllo e le prime visite per impostare un piano terapeutico e si sono riscontrate riduzioni di prescrizioni per i farmaci per l’osteoporosi (-8,8%), per il diabete (-2,6%) e per gli antipertensivi (-22,3%). Per ovviare a ciò il governo ha predisposto un “Piano per il riassorbimento delle liste d’attesa”. Che si basa sulla proroga fino al 31 dicembre 2022 delle assunzioni straordinarie in deroga ai vincoli ordinari, la deroga al regime tariffario delle prestazioni aggiuntive, e “l’aumento degli acquisti di prestazioni ospedaliere e di specialistica ambulatoriale dal privato”.
Così le Regioni sono autorizzate a spendere 150 milioni di euro in deroga ai tetti stabiliti per legge per “l’acquisto di prestazioni sanitarie da privati da parte del Ssn” con le strutture che rendicontano entro il 31 gennaio 2023 le attività effettuate nell’ambito dell’incremento di budget assegnato. Mentre invece per la stabilizzazione del personale e “rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali” oltre che valorizzare la “professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l’emergenza”, è una babele burocratica: il governo ha previsto che “verificata l’impossibilità di utilizzare personale già in servizio, nonché di ricorrere agli idonei collocati in graduatorie concorsuali” sarà necessario “avvalersi, anche nell’anno 2022, di incarichi di lavoro autonomo (ivi compresi incarichi di collaborazione coordinata e continuativa) a medici specializzandi (iscritti all’ultimo o al penultimo anno di corso delle scuole di specializzazione)”. Ci sarà una finestra per le assunzioni a tempo indeterminato. Fra l’1 luglio 2022 e il 31 dicembre 2023 si potranno assumere gli operatori socio sanitari oggi a tempo determinato che abbiano maturato, a quella data, almeno 18 mesi di servizio, anche non continuativi, alle dipendenze di un ente del servizio sanitario nazionale. Di cui almeno 6 mesi nel periodo emergenziale (31 gennaio 2020-30 giugno 2022).